Itaca n. 7 - page 15

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Il brano è tratto dalla raccolta di prossima
pubblicazione “Pietra, l’anima e l’infinito
da abitare”.
Di Francesco Cicchi
P
referiamo aspettare che gli eventi ac-
cadano. Preferiamo non incontrare.
Preferiamo restare al sicuro delle no-
stre
certezze
. Mi domando se, stando fermi,
si possano realmente avere delle convinzioni.
O se queste non siano, piuttosto, delle
co-
modità
.
Claudio Magris dice che ognuno di noi, pur
smarrito nella vertigine delle cose, riesce, nel
confronto con questo smarrimento, a trovare
se stesso.
Attraversando il mondo scopriamo la nostra
verità. Quella verità, all’inizio soltanto potenzia-
le, attraverso il confronto, si traduce in realtà.
Per questo il nostro fare quotidiano deve es-
sere accompagnato dal
desiderio del viaggio
.
Dobbiamo
uscire fuori
, senza aver timore di
perdere il nostro passato, ed avere “fede” nel
nostro peregrinare, perché ci sono sempre
mondi migliori da scoprire. E strade che pun-
tano dritte alla nostra Autenticità.
“Un uomo si propone di disegnare il mondo.
Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con
immagini di regni, di montagne, di navi, d’i-
sole, di pesci, di dimore, di astri, di cavalli,
d’incontri e di persone. Poco prima di mori-
re, scopre che quel paziente labirinto di linee
traccia l’immagine del suo volto”, Borges.
Buon viaggio a tutti.
Di N. R.
“Casa Ama”
N
oi abitiamo in un mondo arredatissi-
mo. Pieno di oggetti da usare e con-
sumare, freneticamente, spesso
inutilmente.
Il cellulare, il computer, la macchina, ma an-
che la giacca, il giornale, ci appaiono stru-
menti che ci entusiasmano per la riuscita e
conferma della nostra esistenza, tutto quello
che produciamo sotto il sole lo dobbiamo
consumare, possedere!
Che fatica, e che fatica sprecata datosi che
niente si può consumare fino in fondo, il tele-
visore, la giacca passata di moda, il giornale
di ieri, dopo essere stati adoperati, rimango-
no lì malinconicamente, passati, transitati da
una condizione di splendore a feticci dei no-
stri tempi, a scorie inquinanti.
Ciononostante ci trasciniamo nel nostro tem-
po con milioni di cose rotte, invendute, vuoti
a perdere, gioielli consumati troppo in fretta.
Non sono soltanto gli oggetti a subire questa
sorte, ma anche le arti, la musica, le idee, il
pensiero, le relazioni.
Relazioni che non hanno più uno scopo,
una funzione nel nostro ciclo “servile” per-
ché consumate, bruciate in fretta, forzate,
che non vogliono osservarsi, contattarsi per
il piacere di scoprirsi, ma solo di carattere
capitalistico, con logiche illusorie del nuovo,
(morto un Papa se ne fa un altro) relazioni che
non si attraversano fino in fondo, che non si
attendono… che giungono a traguardi dove
la sola linea di demarcazione è quella del gri-
do che chiede sostegno.
Dobbiamo riconoscere che le nuove tenden-
ze fanno parte di qualsiasi evoluzione anche
positiva, ma poi riusciamo a contaminarci,
diciamocelo pure, cominciamo a riconside-
rare tutto ciò onestamente con noi stessi e
scegliendo una direzione verso il “senso” ed
“il segno originario” che libera “l’anima dal
negativo” della propria esistenza e dell’altro,
solo così con un atteggiamento positivo e
propositivo. Potremmo prendere spunto dal-
la cultura contadina, che continua da decen-
ni ad attraversare il mondo “senza mischiar-
si” mantenendo la sua “originalità” a contatto
con l’elemento terra che è recettiva, che tutto
accoglie, che rappresenta il ciclo vitale di ciò
che nasce, vive, muore e rinasce.
Dunque relazioni semplici, chiare, vere, reali
che non lasciano scorie e non inquinano, ap-
punto ecologiche.
Uni . versi
“Qual è il posto degli ebrei nel nostro paese?”
Gli ebrei stanno rubando le nostre ricchezze e i nostri posti di lavoro,
quindi è giusto emarginarli dalla società
(Berlino, 1935)
“Hai qualcosa contro i disabili? Se sì, cosa?”
Non è che abbia qualcosa contro di loro ma a mio parere non sono utili
alla nostra società, li considero come un peso, se l’umanità fosse
un frutto loro sarebbero la buccia
(Cracovia, 1939)
“Ritieni che le donne devono avere un ruolo sociale
pari a quello dell’uomo?”
Assolutamente no, per me il ruolo adatto a loro è curare le faccende di casa e famiglia.
(Torino, 1946)
“Che contributo hanno dato gli immigrati italiani in America?”
A mio parere gli Italiani sono solo dei mafiosi che hanno portato
la criminalità in un paese rispettabile come gli Stati Uniti
(New York, 1950)
“Cosa ne pensi delle persone di colore?”
Penso che i neri siano una razza inferiore e che non debbano avere
gli stessi diritti delle persone bianche, non vorrei mai condividere
la stessa aula o addirittura lo stesso banco con uno di loro.
(Atlanta, 1969)
“Una tua opinione personale sui rom?”
Nel mondo ci sono gli uomini e gli zingari. La nostra società non può
comprendere animali che portano malattie e non obbediscono alle leggi.
Devono solo essere abbattuti.
(Roma, 1997)
“Secondo te l’omosessualità è una malattia?”
Ritengo che Dio ci abbia creati per amare il sesso opposto al proprio
e che i gay abbiano una deficienza mentale, pertanto credo che
l’elettroshock sia un ottimo metodo per curarli.
(Sochi, 2014)
Università di Boston, facoltà di Sociologia.
Dal diario del prof. ***
Un racconto della Classe IV G
Liceo Scientifico Statale “B. Rosetti”
27
Gennaio 3078.
Ricorre l’anniversario della Shoah.
Volendo discutere con i miei
studenti delle discriminazioni
razziali avvenute nel passato, ho deciso di
andare alla ricerca di documenti e testimo-
nianze. Dopo aver posto alcune domande
sull’argomento e averli trovati completa-
mente disorientati, ho mostrato loro alcuni
spezzoni di vecchie interviste a studenti del
XX secolo. Speravo che, sottolineando le dif-
ferenze di pensiero tra presente e passato,
si rendessero conto del progresso compiuto
dalla società.
H
o staccato gli occhi dal foglio e li
ho trovati tutti sbigottiti. Nel silen-
zio generale, uno di loro si è alza-
to affermando con forza: “ Non ho
mai riflettuto sul fatto di appartenere alla raz-
za umana ed ora che ci penso sono sempre
più convinto che non sono poi così tanto di-
verso da tutti gli altri esseri viventi dotati di
razionalità. Mi sento parte dell’umanità e ri-
tengo che il termine “razza” non sia corretto
né dal punto di vista scientifico né etico dal
momento che esso viene utilizzato per rife-
rirsi ad episodi passati inerenti al razzismo.
Inoltre la parola “razza” appare più come una
classificazione, mentre l’“umanità” è una ca-
ratteristica comune a tutti gli uomini. Perciò
preferirei piuttosto parlare di specie, in quan-
to penso che ognuno sia uguale all’altro: è
l’abbattimento delle barriere che separano gli
individui ad aver portato ad una società più
giusta come la nostra.”.
A quel punto mi sono sentito in dovere di
chiedere:
“Quindi non ci sono più differenze
tra un essere umano ed un altro?”
La rispo-
sta è stata chiara e netta:
“Certo che esisto-
no, ma sono quelle a renderci unici”.
“Racism in Wonderland”
Viaggio
“Relazioni Ecologiche”
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