Itaca n. 7 - page 6

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carcere e storie
in-dipendenze
O viceversa.
Di Marco Dotti
U
n giro d’affari annuo di novantasei
miliardi di euro. Un incasso per lo
Stato di dieci. Una diffusione capil-
lare di quella che chiamano “offerta”
— in modi, forme e tipologie che la rendono
più prossima all’induzione e hanno trasfor-
mato l’Italia un vero e proprio laboratorio glo-
bale con ricadute sul tessuto sociale, econo-
mico, relazionale, culturale e affettivo che
nessuna istituzione vuole realmente calcola-
re. È l’azzardo di massa, che ha sfondato gli
argini per secoli lo hanno separato dalla vita
quotidiana, radicandolo così in ogni luogo
d’incontro o di prossimità – dando corpo e
forma a ciò che gli inglesi chiamano 
conve-
nience gambling
 –, ovunque vi sia calore
umano da assorbire e mettere a profitto tra-
mite una scienza applicata che mescola abil-
mente frammenti dei saperi più disparati, dal-
le neuroscienze al biomarketing, dalle scien-
ze informatiche al comportamentismo in una
sua variante tanto più semplicistica, quanto
più efficace laddove incontra la mediazione
di algoritmi, software e macchine.
Oggi, sul territorio
italiano, sono più
di quattrocentomila
le “macchine”
da gioco.
Le chiamiamo macchine – slot machines e vlt,
videolotteries, congegni iperveloci presenti
in apposite sale gioco – ma sono ben altro.
Sono veri e propri algoritmi della dipenden-
za in forma di carcasse metalliche che della
macchina hanno oramai solo la maschera.
Un numero che ha pochi eguali nel mondo e
dà corpo e sostanza a quanto in questo libro
chiamiamo 
ludocrazia
. Sulla scorta di Giorgio
Agamben, di Emile Benveniste e di Claude
Levi-Strauss, ma anche del genio di Collodi,
potremmo leggere questo sfondamento del
gioco e, in particolare del gioco d’azzardo,
nella vita quotidiana nei termini di una pro-
fanazione. Profanare, letteralmente, significa
violare uno spazio e, in origine, riconduce al
movimento che riduce lo spazio del sacro a
uno spazio profano. Con conseguenze facili
da intuire.
Aggredire ogni
calore umano
L’azzardo attraerso macchine/algoritmi
dà forma al cosiddetto 
predatory gam-
bling
, l’azzardo predatorio che a parti-
re dai primi anni del XXI secolo ha comincia-
to a espandersi sui territori, in ogni luogo di
prossimità o di incontro, ramificandosi nelle
abitudini di uso e consumo di milioni di italia-
ni. Calato in un contesto di massa, a contatto
con le nuove tecnologie di programmazione
e design, dal data mining al neuromarke-
ting, l’azzardo non solo ribadisce, ma ride-
finisce le distanze fra ciò che è gioco e ciò
che opera solo in ragione della sistematica
corruzione del gioco, a tutti i livelli.  Un feno-
meno sociale e culturale dagli impatti interge-
nerazionali devastanti di cui ancora tardiamo
a comprendere la portata presente e futura.
«Il gioco d’azzardo esiste da millenni e da
millenni crea problemi». Questa è una delle
affermazioni più ricorrenti, in chi vorrebbe
“mettere a posto” un problema che, an-
che dal punto di vista concettuale e non solo
pratico e sociale, di grattacapi ne dà non po-
chi. Il gioco sfugge al concetto, osservava il
fenomenologo Eugen Fink. Ma l’azzardo è la
rimozione stessa del concetto di gioco. Se
il gioco – ce l’hanno insegnato, tra gli altri,
Guardini, Pieper e Ratzinger – è gioia e festa,
l’azzardo – ci ha insegnato lo stesso Joseph
Pieper – è pseudo-festa. Non è
 otium
, ma-
asservimento a una dimensione meramente
cultuale, vuota, di un rito postmoderno che
prevede immanenza dentro l’algoritmo. 
Il vaso di
Pandora dell’azzardo
postmoderno
Vero è che negli ultimi decenni del XX secolo
tutto si è evoluto, anche l’azzardo, cambian-
do non solo quantità, ma qualità e natura.
Oggi, quando si parla di azzardo, si dovreb-
be parlare nello specifico di azzardo di mas-
sa tecnologicamente e postindustrialmente
diffuso. mediato dalla tecnologia e orientato
al controllo integrale del soggetto, non solo
delle sue pulsioni.
Caratteristiche grezze dell’azzardo di massa
sono: la velocità del gioco, la rapidità – tal-
volta si parla di “istantaneità”, con particolare
riguardo alle cosiddette lotterie istantanee –
che permette di bruciare anche grosse som-
me in pochi minuti, la possibilità di inserirsi
in un flusso aperto e attivo 24/7, la facilità di
accesso, la diffusione in tutti i luoghi e a tut-
te le ore del giorno, la presenza massiccia di
dispositivi da gioco nei luoghi di relazione e
scambio e il continuum che lega questi di-
spositivi a un triplice dispositivo di control-
lo: finanziarizzazione estrema dell’esistenza,
costituzione di antropologie di vite a debito
gamification
 integrale ovvero riduzione en-
tro schemi di gioco di ogni forma di vita e,
quindi, depotenziamento del conflitto e del
dialogo. Da questo dispositivo ha origine ciò
che potremmo definire una 
ludocrazia
, termi-
ne in cui risuonano volutamente molte acce-
zioni di senso.
Ludocrazia: già lo scrittore visionario P. K.
Dick, nel suo primo romanzo
Solar  Lottery
, è
del 1955, indicava come sistema in costan-
te mutazione post-politica o di 
post-political
politics
, dove qualsiasi partecipazione è ri-
dotta a un simulacro di partecipazione pro-
prio perché inserita in schemi di gioco. In
questi schemi  - Dick pensava a una lotteria
interspaziale - tutto è possibile, anche sop-
portare e reggere, con una certa efficacia,
la complessità inaudita delreale. Stappa-
to il velo di Iside, non resta che giocarselo
senza sosta, per non guardare il volto bru-
ciante della dea. 
Se questo è il contesto, la mutazione dei
sistemi di partecipazione (“play”) in puro
“game” eterodiretto avviene di conseguenza.
Se questo è lo schema, la posta resta ciò non
di meno sconosciuta. O forse è proprio qui
l’inganno: come in una 
smart machine
, dove
gli algoritmi programmano la chance, l’esisto
del gioco (si vince, si perde) è prevedibile, ma
nessuno ne conosce la posta. 
Le poste in gioco
Che cosa ci si gioca, quando si gioca? Do-
manda scontata, ma nemmeno troppo se, al
di là di tanta pubblicistica 
mainstream,
 è a
fonti all’apparenza «eccentriche» rispetto al
tema del gioco che ancora si può e magari
persino «si deve» ricorrere quando, seppur
di sbieco, ci troviamo nella necessità di in-
quadrare un problema non di oggi, ma che
oggi le cronache segnalano come «urgente»,
«drammatico», «inquietante», e via discorren-
do.
Tra gli abbozzi di questa riflessione, Ludovico
Zdekauer, grande storico del diritto del XIX
secolo, amato e chiosato da Sciascia, e che
al lavoro sul gioco pubblico nel primo Medio-
evo tra Venezia, Siena e Firenze ha dedicato
gran parte della propria insostituibile ricerca
d’archivio, sosteneva che, a parte i dialoghi
del Tasso (
Il Gonzaga secondo overo del
Giuoco
, 1582) e Petrarca (
De remediis utri-
usque fortunae
, 1357), a parte il fondamen-
tale Cardano che con i trentadue capitoletti
del suo
De ludo aleæ
 (1527 circa), scampato
al fuoco e pubblicato a Lione solo un secolo
dopo la redazione, pose le basi per una teo-
ria degli esiti casuali possibili, poco era stato
scritto a riguardo del 
démon du jeu
. Sappia-
mo che Zdenauker, nel frattempo entrato a
buon diritto nel canone di questi contro clas-
sici, si sbagliava. Ciò non di meno individua-
va un problema, inscritto in una domanda di
otto parole. Ripetiamole: che cosa ci si gioca,
quando si gioca? 
Oggi che tutto è gioco o inscritto in codici
di gioco, per proprietà transitiva si potreb-
be sostenere che, ovunque, comunque si
giochi, ci si gioca comunque, ovunque tut-
to. Ma in un contesto mutato, in una deriva
post-ludica e post-lavoro, caratterizzata da
continue sovrapposizioni di contesti e am-
bienti, possiamo ancora dire che il gioco sia
solo e nient’altro che “gioco”? Nasconden-
dola in una noticina poco considerata del
suo 
Les jeux et les hommes
(1958), Roger
Caillois si chiedeva, ad esempio, se dinanzi a
una “machine à sous”, una slot, o a un solita-
rio  si possa davvero parlare di gioco, o non
piuttosto di “altro”. È questo “altro”, oggi, a
fare davvero problema.
Vite di nuovi schiavi
I dati – sono le cronache, nel loro plebiscito
di ogni giorno, a ribadirlo – sono “allarman-
ti”. Anche perché, di dati e ricerche epide-
miologiche a tappeto e super partes, non ne
esistono. L’ultima indagine di un certo rilievo
numerico è del 2009. Secondo questa inda-
gine in Italia, il gioco d’azzardo tocca il 70-
Ludocrazia: quando il potere diventa un gioco
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