Itaca n. 7 - page 2

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editoriale
razza umana
l’unica che può provare a impedire che tale
rischio diventi realtà.
Purtroppo il discorso religioso, a causa
dell’antropocentrismo che lo permea da se-
coli e che nell’epoca moderna ha assunto un
peso esorbitante, tende a eludere la possibi-
lità dell’estinzione dell’umanità. Pur essendo
antropocentrico, cioè concentrato sull’uomo
(
anthropos
), esso paradossalmente ostaco-
la la consapevolezza della situazione a cui
siamo giunti come esseri umani in questo
momento della storia planetaria. Perché la
questione dell’estinzione umana non entra a
far parte del discorso religioso? Da una parte
c’è l’idea secondo cui, avendo un’anima im-
mortale, non condividiamo il destino mortale
degli animali. A mio parere, pur riguardando
l’individuo, quest’idea attraverso una trasmu-
tazione inconscia rende difficile concepire la
morte dell’intera specie, anche se ci è noto
l’incremento vertiginoso della scomparsa di
altre specie. D’altra parte, l’idea di Dio come
di una forza che agisce dall’esterno sulla
realtà, modificandola a piacere, fa ritenere alle
persone religiose che Dio non permetterà alle
previsioni più catastrofiche di avverarsi. Ciò
fornisce una falsa sicurezza impedendo al
pensiero umano di avvicinarsi al baratro, cioè
di intravedere la possibilità della fine dell’uma-
nità e dunque del suo stesso annichilimento.
Dal punto di vista della spiritualità del creato,
la nozione che gli esseri umani sono abissal-
mente distinti dagli animali e la convinzione
che Dio sia un essere esterno al mondo che
ne può modificare i percorsi in maniera re-
pentina sono entrambe erronee. Certamen-
te sia l’idea dell’anima immortale sia l’idea
di Dio come Provvidenza hanno una storia
che evidenzia come esse siano state veicolo
di esperienze spirituali profonde, ma siamo
giunti a un punto della storia umana nel qua-
le esse sono diventate più d’intralcio che di
spinta, perlomeno nella loro forma più con-
sueta e più diffusa. La spiritualità del creato
non si accontenta di sottoporre queste idee
a una critica razionale (come fece duecento
anni or sono Immanuel Kant) ma si occu-
pa di estrapolare delle nozioni alternative
sull’umano e su Dio dall’esperienza umana
contemporanea e da una rilettura delle fonti
spirituali bibliche ed extra-bibliche. Che cosa
differenzia gli esseri umani dagli animali?
Come si può parlare oggi della presenza e
dell’azione del divino nel mondo? La famo-
sa espressione “a immagine e somiglianza di
Dio” che si trova nel libro della Genesi (Gen
1, 26) a proposito dell’identità delle creature
umane, viene oggi compresa dagli studiosi
come un riferimento esplicito alla dignità re-
gale di ciascun individuo, dal momento che
presso i popoli vicini all’antico Israele soltan-
to i re si fregiavano di tale titolo e facevano
far erigere statue di se stessi come esseri
fatti “a immagine e somiglianza” del dio della
propria nazione.
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Dunque la prima definizione
dell’essere umano che si trova nella Bibbia è
sociologica e, per così dire, democratica; in-
fatti, la prima storia della creazione presente
nel libro della Genesi si preoccupa non tanto
di fornire distinzioni tra la razza umana e le
altre creature, ma di eliminare ogni distinzio-
ne tra regnanti e popolo, tra potenti e poveri.
Certamente l’espressione “a immagine e so-
miglianza di Dio” va intesa nel suo contesto
originale anche con riferimento alle caratte-
ristiche generali di Dio secondo la compren-
sione che ne aveva l’Israele antico. In quella
cultura, Dio era principalmente il Creatore e
il Compassionevole, cioè la Roccia-Utero da
cui tutte le creature sono state tratte e l’Ab-
braccio che continua a circondarle.
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Dunque,
sommando il dato biblico alla nostra attuale
consapevolezza evolutiva, la spiritualità del
creato sostiene la dignità regale di ogni es-
sere umano, da cui discende la ricerca di una
società radicalmente fraterna, e afferma che
gli esseri umani sono distinti dagli altri animali
non in un senso essenziale, bensì perché in
loro la capacità creativa e la capacità di com-
passione già presente in altre creature rag-
giungono un livello impareggiabile.
Matthew Fox mette bene in chiaro che la crea-
tività umana non ha valore morale positivo,
potendo essere messa a servizio anche della
distruzione della vita, come nel caso chiaris-
simo delle armi atomiche. È la compassione
a fornire il criterio etico alla creatività, e infat-
ti gli esseri umani sono davvero tali quando
riflettono entrambe le caratteristiche della
divinità, cioè incarnano una creatività com-
passionevole. Ma la compassione non va in-
tesa come il calare dall’alto di un dono. Essa
invece consiste nel mettersi sullo stesso pia-
no di un altro, esercitando la propria capacità
di ascolto empatico e di fratellanza/sorel-
lanza che sono innate in tutte le persone, a
qualsiasi cultura appartengano, ma che da
queste stesse culture sono state spesso
controllate e represse.
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La “terrestrità” (
ear-
thiness
) è il valore-guida della spiritualità del
creato. Si tratta del desiderio e della pratica
dell’abbandono di ogni posizione di dominio,
rimanendo quindi legati e ancorati alla Terra e
in amicizia con le altre creature che essa ospita.
Che cosa c’entra Dio in tutto questo? Nella
spiritualità del creato, Dio è continuamente
agente come creatore e come compassione
universale, al contrario della visione moderna
che relega Dio al ruolo di iniziatore del pro-
cesso cosmico e di giudice finale, un essere
esterno al mondo che interviene soltanto al
principio e alla fine, oltre che in certe occa-
sioni per interrompere il corso regolare della
natura. Quest’ultima visione non solo ha al-
lontanato dalla religione negli ultimi due se-
coli le persone più orientate in senso raziona-
le, ma ha anche deprivato la religione stessa
del suo punto di forza, che è quello di offrire
la possibilità alle persone riunite in comunità
di fare esperienza della realtà divina. In realtà,
la visione moderna di Dio non è consistente
né con il testo biblico né con l’esperienza mi-
stica. Al di là delle critiche razionaliste all’esi-
stenza di Dio, che pure hanno il loro valore,
esiste l’esperienza umana dell’estasi, che è
accessibile ad ognuno nell’intensità della na-
tura, dell’amore, dell’amicizia, del gioco, e
che ci apre alla trascendenza. Esiste anche
la possibilità di una spiegazione filosofica
dell’azione del divino nel mondo come di una
forza gentile che non esercita alcuna coerci-
zione sulla libertà delle creature ma tutte le
abbraccia.
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La spiritualità del creato adotta
questa prospettiva panteistica parlando di
un “Dio trasparente” di cui si può fare espe-
rienza come brillantezza di tutte le creature
nella loro bellezza. Purtroppo, l’uso invetera-
to della parola “Dio” per parlare di un dispo-
tico moralista universale, la cui esistenza non
può essere dimostrata, re nde molto difficile
continuare a usare la parola stessa. Nella mia
esperienza di teologo/formatore nell’ambito
dell’Associazione Spiritualità del Creato ho
scoperto che quello che conta è che sia pos-
sibile parlare di questa esperienza del divino,
di ciò che ci attrae estaticamente fuori di noi
verso un
novum
inaspettato, qualsiasi siano
le parole che adoperiamo per farlo.
L’umanità è l’unica specie che ha consape-
volezza del proprio rischio di estinzione ed è
anche l’unica che può provare a impedire che
tale rischio diventi realtà. Nel momento stori-
co in cui è diventato imprescindibile guardare
a noi stessi come a un’unità globale, la fun-
zione della spiritualità non può essere altra
che quella di risvegliare tale consapevolezza
e favorire quindi una rivoluzione globale delle
coscienze.
Mentre la religione
continua a ragionare in
termini di esclusione/
inclusione, ortodossia/
eterodossia, cioè in
maniere che cercano di
delimitare e chiarire, la
spiritualità ha la chance
di attrarre e risvegliare il
lato poetico e mistico che
è presente in ogni uomo
e ogni donna, ad ogni età
della vita.
Certamente essa comporta dei rischi, ma
d’altra parte conosciamo i risultati storici del-
la chiusura dell’esperienza della trascenden-
za dentro gabbie religiose. Una delle funzioni
storiche della spiritualità è stata quella di sol-
levare il velo sulla realtà delle cose, quando
la struttura religiosa tendeva a oscurare e
controllare la potenza dell’irruzione del divino
nell’esperienza umana. In altre parole, in ogni
epoca c’è chi ci sollecita a guardare di nuovo
al nucleo della religione, alla sua più profonda
ragione d’essere, al di là della sua funzione
di stabilizzazione sociale. La spiritualità del
creato prova a giocare questo ruolo, nel conte-
sto postmoderno occidentale, in sintonia con
i movimenti indigeni di molte parti del mondo.
La disperazione che ci può cogliere quando
finalmente guardiamo ai dati concreti che ri-
guardano il cambiamento globale del clima,
e quindi la possibile estinzione della razza
umana, non è facilmente superabile. Si tratta
di una possibilità paralizzante. Sembra che
nel respingere la gravità della situazione entri
in gioco un meccanismo organico di autodi-
fesa, oltre alle ragioni che ho menzionato (l’i-
dea dell’immortalità dell’umano e l’idea di Dio
che interviene dall’esterno). Parlarne insieme,
però, in un contesto che ci permetta di espri-
mere il nostro dolore profondo per ciò che sta
avvenendo e di condividere l’estasi della vita
in un cerchio di fiducia, cioè in un contesto
che faccia emergere la potenza della nostra
creatività e della nostra compassione, è forse
l’unica via d’uscita che ci rimane.
>> continua da pagina 1
1. Una sintesi della proposta di Matthew Fox si può tro-
vare nel volumetto
La spiritualità del creato: manuale di
mistica ribelle
, Gabrielli, 2016.
2. Cf. David Carr,
The Erotic Word: Sexuality, Spirituality
and the Bible
, Oxford University Press, 2003, pp. 17-
22. Sulla dignità regale di ciascuno, cf. Matthew Fox,
In
principio era la gioia
, Fazi, 2011, pp. 107-119.
3.“Guardateallarocciadacuisietestatiestratti/allacava
da cui siete stati tagliati” (Isaia 51,1). “Dio ha plasmato
e fatto la terra e l’ha resa stabile / l’ha creata non come
orrida regione, ma l’ha plasmata perché fosse abitata”
(Isaia 45,18).
4. Oltre a costituire l’essenza della terza e della quarta
delle
viae
nel suo volume
In principio era la gioia
, Mat-
thew Fox ha parlato della creatività e della compassio-
ne in due volumi specifici:
Creatività: dove il divino e
l’umano si incontrano
, Fazi 2013 e
Compassione: spiri-
tualità e giustizia sociale
, Claudiana 2014.
5. Si tratta della visione di Alfred North Whitehead espli-
citata dalla teologia del processo (
process theology
). In
italiano, si può consultare John Cobb & David Griffin,
Teologia del processo
, Queriniana 1974. Matthew Fox
ha un capitolo concentrato sul panenteismo in
In princi-
pio era la gioia
, Fazi, 2011, pp. 100-106.
Matthew Fox, teologo e saggista
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