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          INTERVISTE •
        
        
          PERL’APPUNTO
        
        
          
            Regista padovano di cinema docu-
          
        
        
          
            mentario e di finzione, Andrea Segre
          
        
        
          
            da oltre dieci anni presta particolare
          
        
        
          
            attenzione al tema delle migrazio-
          
        
        
          
            ni ed è socio fondatore di ZaLab,
          
        
        
          
            un’associazione formata da cinque
          
        
        
          
            filmmaker e operatori sociali, per la
          
        
        
          
            produzione, distribuzione e promo-
          
        
        
          
            zione di documentari sociali e pro-
          
        
        
          
            getti culturali.
          
        
        
          
            
              Di Redazione
            
          
        
        
          
            D
          
        
        
          
            a dove nasce il tuo interesse
          
        
        
          
            per il documentario sociale
          
        
        
          
            e per le condizioni esisten-
          
        
        
          
            ziali di chi migra e di chi si
          
        
        
          
            trova a confrontarsi con il fenomeno?
          
        
        
          Io non ho studiato cinema e quindi non
        
        
          ho una formazione da regista, ho stu-
        
        
          diato principalmente sociologia e co-
        
        
          municazione sociale, ma per racconta-
        
        
          re le storie che incontravo durante i miei
        
        
          viaggi di ricerca e di interesse persona-
        
        
          le ho iniziato ad usare la videocamera.
        
        
          Con il tempo questo interesse è diven-
        
        
          tato il mio lavoro, il che mi ha portato di
        
        
          conseguenza ad avvicinarmi al cinema,
        
        
          ovviamente legato alle dinamiche so-
        
        
          ciali, ma con un interesse che è anche
        
        
          improntato sull’estetica e la poetica.
        
        
          
            Fare documentari
          
        
        
          è
        
        
          
            costruire relazio-
          
        
        
          
            ni con le persone ed i luoghi. Come
          
        
        
          
            è cambiato nel tempo, storia dopo
          
        
        
          
            storia, il tuo rapporto/approccio con
          
        
        
          
            le persone e con la forma di racconto
          
        
        
          
            del video partecipativo?
          
        
        
          Il video partecipativo è una palestra at-
        
        
          traverso cui formi il tuo approccio alla
        
        
          realtà. Quello che ti insegna il metodo
        
        
          partecipativo è che la tua posizione au-
        
        
          toriale ha bisogno di essere messa in
        
        
          discussione dalle persone e dai luoghi
        
        
          che racconti e che frequenti. Devi met-
        
        
          terti nella posizione che possa permet-
        
        
          terti di rinunciare alle tue certezze e di
        
        
          contaminare il tuo punto di vista, in que-
        
        
          sto modo l’esperienza diventa anche
        
        
          un’esperienza di formazione reciproca.
        
        
          Questo è un percorso di reciprocità che
        
        
          il video partecipativo, come metodo e
        
        
          come fatica, ti aiuta ad apprezzare. Io
        
        
          quando faccio film di finzione con im-
        
        
          portanti strutture produttive, non riesco
        
        
          ad applicare il metodo partecipativo,
        
        
          però ti rimane sulla pelle come tipo di
        
        
          approccio, come tipo di relazione che
        
        
          hai con il mondo. Tutto questo non è
        
        
          soltanto legato alla produzione, ma
        
        
          anche alla distribuzione, infatti, quello
        
        
          che noi facciamo con
        
        
          
            ZaLab
          
        
        
          è portare
        
        
          il film e i racconti a disposizione di per-
        
        
          sone che proiettando il film diventano
        
        
          loro stessi co-distributori. Alla doman-
        
        
          da “Quando esce il tuo film nella mia
        
        
          città?”, noi rispondiamo “Fallo uscire
        
        
          tu, non aspettare che ti arrivi, come se
        
        
          la tua posizione sia necessariamente
        
        
          quella del consumatore di immagini.
        
        
          Tu puoi essere un soggetto attivo che
        
        
          aiuta quelle immagini e quei sensi, non
        
        
          soltanto ad arrivare ad altri, ma anche
        
        
          a collaborare al tuo percorso di senso”.
        
        
          
            Oltre 50.000 persone hanno visto
          
        
        
          
            “L’ordine delle cose”. Ci siamo in-
          
        
        
          
            terrogati sul significato di termini
          
        
        
          
            come
          
        
        
          diritto, controllo, gestione
        
        
          
            e sul-
          
        
        
          
            la loro trasformazione di fronte al
          
        
        
          
            cambiamento epocale in atto. Il film
          
        
        
          
            ci invita a chiederci qual è la nostra
          
        
        
          
            posizione. Hai dichiarato sul tuo sul
          
        
        
          
            tuo blog:“Credo fermamente che ab-
          
        
        
          
            biamo l’obbligo tanto politico quanto
          
        
        
          
            intellettuale di non lasciare che l’opi-
          
        
        
          
            nione pubblica si distragga”. Potresti
          
        
        
          
            approfondire questo concetto?
          
        
        
          C’è una strana funzione che ha il tema
        
        
          delle migrazioni, in questo momento
        
        
          storico e nella vita democratica d’Eu-
        
        
          ropa. Da una parte è un tema centrale
        
        
          su cui sembra che si giochino tutte le
        
        
          campagne elettorali d’Europa, e dall’al-
        
        
          tra è un tema su cui le persone cono-
        
        
          scono solo gli slogan. È un momento
        
        
          di schizofrenia drammatica. È incredi-
        
        
          bile quanto noi stiamo determinando
        
        
          dei posizionamenti politici, sopra ad un
        
        
          tema su cui la reale competenza e ri-
        
        
          flessione è così bassa. Tutto ciò nasce
        
        
          da un grande difetto, dal fatto che due
        
        
          persone di cui stiamo parlando, ossia
        
        
          quelle che con i loro corpi determinano
        
        
          poi una migrazione, non sono sogget-
        
        
          ti democratici, ossia non partecipano
        
        
          all’attività democratica. È come se noi
        
        
          parlassimo di disoccupazione senza
        
        
          dare il diritto al voto ai disoccupati o
        
        
          ai lavoratori in generale, come se noi
        
        
          parlassimo di traffico senza far votare
        
        
          le persone che guidano. Eppure que-
        
        
          sto stiamo facendo, occupandoci di
        
        
          un tema rispetto al quale a votare sono
        
        
          soltanto i soggetti passivi di questo
        
        
          tema. Questa è una conseguenza del
        
        
          fatto che quella che è stata costruita
        
        
          negli ultimi 30 anni è una globalizza-
        
        
          zione delle merci e non dei diritti. Non
        
        
          si è allargata l’arena democratica, ma
        
        
          soltanto il mercato economico e finan-
        
        
          ziario. Tutto ciò richiama un enorme
        
        
          compito, da parte della classe politica e
        
        
          della classe intellettuale o comunque di
        
        
          chi ha il tempo di occuparsi del tema e
        
        
          di approfondirlo, che non può alimenta-
        
        
          re quella superficialità e quell’ignoranza
        
        
          perché se lo fa, fa male alla democrazia
        
        
          e non agli immigrati, togliendo capa-
        
        
          cità ai cittadini di occuparsi realmente
        
        
          delle cose e di utilizzarle soltanto come
        
        
          occasioni di espressioni momentanee
        
        
          di emozione. Quindi, rispetto a questo
        
        
          tema ci stiamo giocando la capacità di
        
        
          tenuta democratica del nostro tessuto,
        
        
          che come sappiamo è già molto scric-
        
        
          chiolante. Per questo è necessario che
        
        
          chi ha il tempo di approfondire, ricerca-
        
        
          re, conoscere e raccontare le cose non
        
        
          può farlo su questo tema in maniera
        
        
          superficiale.
        
        
          
            Nella tua ultima produzione rimetti
          
        
        
          
            insieme i tasselli della vita di “Ibi”,
          
        
        
          
            che ha fotografato e filmato la sua
          
        
        
          
            vita in Italia per 10 anni. Questo film
          
        
        
          
            nasce dalle sue immagini e per la pri-
          
        
        
          
            ma volta arriva in Europa un film inte-
          
        
        
          
            ramente basato sull’auto-narrazione
          
        
        
          
            diretta e spontanea di una donna mi-
          
        
        
          
            grante, che racconta sé stessa e la
          
        
        
          
            sua Europa ai figli rimasti in Africa.
          
        
        
          
            Ibi è una testimonianza, dal valore
          
        
        
          
            inestimabile, di resilienza e creativi-
          
        
        
          
            tà. Veramente, come dice Ibi, “niente
          
        
        
          
            è impossibile”? È possibile sovverti-
          
        
        
          
            re l’ordine delle cose?
          
        
        
          Certamente è possibile. Questo è un or-
        
        
          dine stabilito da delle scelte politiche e
        
        
          come tali si possono cambiare. Quello
        
        
          di cui noi stiamo parlando è il fatto che
        
        
          si è scelto di non dare ad alcune perso-
        
        
          ne il diritto di viaggiare e ad altre si, di
        
        
          non dare ad alcune persone il diritto di
        
        
          fuggire e ad altre si, di non dare il dove-
        
        
          re di accogliere, ma di lasciarlo come
        
        
          volontà. Queste sono scelte e come
        
        
          tali possono essere modificate, ma per
        
        
          farlo hanno bisogno di una riflessione,
        
        
          di un confronto e della possibilità di far
        
        
          passare alcuni principi invece di altri.
        
        
          “
        
        
          Il problema è
        
        
          riuscire a porre le
        
        
          domande giuste, per-
        
        
          ché se la domanda fos-
        
        
          se: “Volete più profughi
        
        
          o meno
        
        
          profughi?”, potrei
        
        
          rispondere anche io
        
        
          “meno”, è come dire
        
        
          “Vuoi che ci sia più
        
        
          gente o meno gente
        
        
          a casa tua?”,
        
        
          non è questa la doman-
        
        
          da giusta da porre.
        
        
          ”
        
        
          La domanda dovrebbe essere: “Voglia-
        
        
          mo che il bisogno di mobilità delle per-
        
        
          sone sia più importante del potere che
        
        
          lo nega o no?”, perché se vogliamo che
        
        
          non lo sia allora dobbiamo essere pron-
        
        
          ti a rinunciare anche al nostro bisogno
        
        
          di muoverci, a quello dei nostri figli, dei
        
        
          nostri fratelli o di noi stessi. Dobbiamo
        
        
          discutere su quali sono le dinamiche di
        
        
          rapporto tra potere economico e vita,
        
        
          tra potere politico e libertà di espres-
        
        
          sione e di movimento, se riflettiamo su
        
        
          questo allora le risposte probabilmente
        
        
          saranno diverse. Se uno mi dice “Allora
        
        
          tu li vuoi far arrivare tutti in barca, per-
        
        
          ché sei contro gli accordi
        
        
          
            Italia-Libia
          
        
        
          ?”,
        
        
          in verità io sono 10 anni che non li vo-
        
        
          glio far venire in barca, ma per non farli
        
        
          venire in barca bisogna dargli la possi-
        
        
          bilità di farli venire in altro modo. Non è
        
        
          che se li fermi dall’altra parte del mare
        
        
          hai risolto. È quando vengono fatte le
        
        
          domande sbagliate e non c’è la cono-
        
        
          scenza per poterle contrastare che le
        
        
          risposte poi sembrano immodificabili,
        
        
          perché sono le domande che prevedo-
        
        
          no quel tipo di risposta immodificabile.
        
        
          Se la domanda fosse “Tu sei per ac-
        
        
          coglierli tutti o per mettere un limite?”
        
        
          anche io risponderei “Sono per mettere
        
        
          un limite”, ma non è questa la domanda
        
        
          giusta.
        
        
          
            Amnesty International – Italia, Ban-
          
        
        
          
            ca Etica, MEDU – Medici per i Dirit-
          
        
        
          
            ti Umani, Medici Senza Frontiere,
          
        
        
          
            NAGA Onlus e ZaLab lanciano per il
          
        
        
          
            3 Dicembre a Roma per “Cambiare
          
        
        
          
            L’ordine delle Cose”, il forum nazio-
          
        
        
          
            nale che chiama in raccolta i cittadini
          
        
        
          
            da tutta Italia con l’obiettivo di cam-
          
        
        
          
            biare le politiche migratorie e costru-
          
        
        
          
            ire una società più aperta e solidale.
          
        
        
          
            Che cosa ti aspetti da questo impor-
          
        
        
          
            tante momento di condivisione?
          
        
        
          È una esigenza che è nata quando ci
        
        
          siamo resi conto che gran parte della
        
        
          società italiana si sentiva soffocata tra
        
        
          una sorta di suggerimento a star zitti,
        
        
          che è quello che essenzialmente le for-
        
        
          ze politiche del governo in questo mo-
        
        
          mento dicono, ossia “Meglio che non
        
        
          ne parliamo perché non si poteva che
        
        
          fare così, e non discutiamone” (che in
        
        
          altri termini è una forma di censura o
        
        
          auto censura) e dall’altra parte invece le
        
        
          forze attualmente in opposizione conti-
        
        
          nuano trionfanti con degli slogan inac-
        
        
          cettabili da un punto di vista di minima
        
        
          civiltà. C’è una parte della società che
        
        
          non accetta né il silenzio né gli slogan
        
        
          perché capisce, nel momento in cui si
        
        
          ferma 5 minuti in più a riflettere, che
        
        
          quella che invece va fatta è una fatica di
        
        
          ridefinizione per processo, per affronta-
        
        
          re tutto questo fenomeno in maniera
        
        
          costruttiva. Tutto ciò è possibile se ci si
        
        
          riflette e ci si lavora veramente. E così
        
        
          ci siamo detti, costruiamo un momento
        
        
          che non sia né un convegno tecnico, tra
        
        
          persone che si danno informazioni sul
        
        
          proprio lavoro, né una manifestazione
        
        
          troppo ampia e ampiamente simbolica,
        
        
          ma un momento di lavoro tutti insieme
        
        
          in cui ci diciamo delle cose e diciamo
        
        
          poi al mondo come le pensiamo. At-
        
        
          tualmente siamo a quasi 700 iscritti da
        
        
          140 città d’Italia e questo è veramente
        
        
          l’indicazione di un pezzo importante
        
        
          d’Italia, perché finche fai una manife-
        
        
          stazione a
        
        
          
            Roma
          
        
        
          5000 romani sono
        
        
          pochi, ma non è una manifestazione, è
        
        
          l’avere un luogo, per un giorno intero,
        
        
          per discutere di una cosa, e questo è
        
        
          un segnale di vero interesse se viene
        
        
          gente da tutta Italia.
        
        
          
            Quali sono i tuoi progetti e le speran-
          
        
        
          
            ze per il futuro?
          
        
        
          Mi piace molto quello che stiamo co-
        
        
          struendo dentro e intorno a ZaLab, che
        
        
          sta crescendo sempre di più. Ci sono
        
        
          sempre più autori giovani che si avvi-
        
        
          cinano, sono tante le attività in corso
        
        
          e mi piace contribuire a questa vera e
        
        
          propria sfida culturale. Non siamo una
        
        
          società di produzione X, siamo una pro-
        
        
          gettualità culturale, artistica e sociale
        
        
          molto vivace che mi piace continuare
        
        
          a far crescere. Tra l’altro dentro a Za-
        
        
          Lab stiamo immaginando alcune cose
        
        
          nuove che spero possano partire nei
        
        
          prossimi mesi. Scriverò, inoltre, un mio
        
        
          prossimo film di finzione, giovedì esce il
        
        
          mio primo romanzo
        
        
          
            “La Terra Scivola”
          
        
        
          ,
        
        
          edito da
        
        
          
            Marsilio
          
        
        
          e per il quale sono
        
        
          curioso di sapere cosa succede.
        
        
          Sovvertire
        
        
          L’ordine delle Cose