Itaca n.2 - page 4

[4]
attualità · Il mondo piccolo
Il dato sui frequent users di eroina nei
ragazzi dai 15 ai 19 anni rimane stabile negli
ultimi 10 anni, con flessioni molto leggere,
e allora mi sono chiesto perché abbiamo
la percezione, certezza che qualcosa stia
cambiando? -
Di Riccardo Sollini
Nelle ultime settimane mi hanno colpito due
testi, da una parte la ricerca ESPAD “
Consumi
d’azzardo: alchimie, normalità e fragilità
e dall’altra il capitolo 6 del libro “
L’ospite
inquietante
”  di
Umberto Galimberti
intito-
lato “
la seduzione della droga
”. I miei pen-
sieri sul tema delle sostanze in quest’ ultimo
periodo sono stati molto influenzati da questi
due elementi e da qui voglio partire con la mia
modesta riflessione.
Il dato sui
frequent users
di eroina nei ragazzi
dai 15 ai 19 anni rimane stabile negli ultimi 10
anni, con flessioni molto leggere, e allora mi
sono chiesto perché abbiamo la percezione,
certezza che qualcosa stia cambiando? - La
prima risposta che mi
sono dato è che sono
talmente immerso in
questo mondo che vedi
la cosa ovunque, ma
poi rifletti apri gli occhi,
leggi, ascolti le storie,
incroci gli sguardi e le
facce dei ragazzi che
accogli. Gente normale,
persone con una vita,
con degli interessi, dei
ricordi, con vissuti, ami-
cizie, luoghi vicini, vita
comune. Feste, amicizia
e un senso d’inquietu-
dine, d’insoddisfazione,
di solitudine, di felicità
che ti accompagna che
ti spinge a fondo e che
ti tira su che ti porta alla
ricerca costante di modi
e luoghi in cui esprimerti
in una ricerca costan-
te di se e della propria
essenza. Vissuti comuni
e normali.
Non ho una rispo-
sta, naturalmente, ma
mi sono fatto delle
domande, soprattutto
per quanto riguarda la
nostra società e il rapporto con le sostanze,
riflettendo su come il cambiamento più forte
sia il ruolo che la sostanza riveste nella nostra
società e come risposta ad essa. Si sono
allargati gli orizzonti e avvicinate le persone,
pensiamo alla tecnologia, ieri ho parlato tre ore
con una mia cara amica che vive in Malawi,
con argomentazioni e modalità esattamente
simili a come parlo tutti i giorni con i miei amici
che vivono a 50 metri da casa, sapevo, grazie
a facebook, che nella sua azienda biologica
erano nati dei vitellini, che aveva comprato
una macchina nuova, abbiamo discusso di
quotidianità come se più di 7.000 km fossero
del tutto inesistenti. Poi essendo patito di
informatica ho comprato uno smartphone in
Cina, utilizzando per farlo un sito di acquisto
statunitense. Per non parlare della facilità di
spostamento e di interazione, sono stato in
una settimana due volte a Bologna e fatto
avanti e dietro da Tirana ad Ancona. Tutto
con una normalità e una tranquillità estrema.
Però tutto questo ha un prezzo, questo allun-
gamento e questa dimensione di vicinanza e
di possibilità ha dall’altra parte trasformato
un’altra dimensione che è quella del tempo.
La programmazione, la progettazione, l’oriz-
zonte verso il futuro è breve e il breve mi porta
a trovare soddisfazioni e soluzioni immediate
veloci ed eclatanti, vista la nebulosità del
domani e l’impotenza rispetto a quello che può
succedere. Il concetto di precarietà è diventa-
to costante nel nostro quotidiano pensiamo
al lavoro, all’economia, alla salute, al meteo,
tutto viene descritto e ci viene descritto come
sfuggente come qualcosa che non possiamo
controllare come qualcosa che “per adesso è
cosi”. Cresce in maniera costante il senso d’i-
nadeguatezza di non essere pronto per stare a
questo passo, trovare modi e tempi di espres-
sione e di presenza. La velocità come temine
di misura e come strumenti di valutazione di
efficacia, qualcosa che sia veloce in cui i soldi
investiti possano dare subito risposta.
Non credo che tutto ciò sia negativo e neces-
sariamente porta ad una lettura nichilistica
e chiusa del futuro, penso ad esempio alla
dinamicità che ti puoi immaginare e sognare,
di fatto non so cosa sarò tra 10 anni, personal-
mente penso che sia una conquista, non sono
sicuro che la sicurezza di dire tra 10 anni avrò
lo stesso lavoro e sarà allegramente incastrato
in una routine quotidiana sia una prospettiva
che metta meno ansia e crei meno disagio.
Chi lavora a contatto con le persone è abituato
a questo la comunità, i gruppi, le storie sono
sempre diverse e quando pensi di avere trova-
to un filo conduttore, un punto di incontro, ti
accorgi immediatamente di come sia un qual-
cosa che esiste solo nel tuo pensiero nella tua
percezione e quindi per riuscire ai la necessità
di rimetterti in gioco.
Il tempo stretto porta ad continua ricerca di
sopperire alle mancanze, aumentata dalla per-
cezione del poco tempo per raggiungerle. Il
senso di vuoto e di mancanza è strettamente
collegato con la nostra società.
Il tempo come qualcosa da rincorrere e riusci-
re prima degli altri e prima di avere il desiderio
di altro di trovare soddisfazione alle proprie
mancanze. Galimberti parla del desiderio e
parla di come “..il desiderio che , come ci
ricorda Platone, è fatto di mancanza e di
nulla, chiede che si aumenti la dose. Il perfetto
funzionamento del desiderio, che non cerca il
piacere nel mondo, ma l’estinzione rapida ed
immediata di quella “mancanza” che è la sua
struttura costitutiva. Nessuno infatti desidera
ciò che ha, ma solo ciò che non ha. Il nulla è
l’anima del desiderio che, nella sua versione
anestetica, rende l’appetito irresistibile e il
piacere insoddisfacente.”
Questo passaggio nella mia testa è stato
dirompente, ho sempre pensato a chi nello
stereotipo di mondo non vuole stare, a chi non
riesce a stare, a chi nella ricerca di soddisfa-
zione costante e veloce di colmare un vuoto,
una mancanza, la propria ferita (come dice
Mancuso) ne diventa schiavo. Questo si tradu-
ce in ricerca costante di soddisfazione imme-
diata, quasi bulimica, la crescita della polias-
sunzione del binge drinking, dipendenze com-
portamentali, delle droghe sintetiche mixate
con attenzione con le “tradizionali” consape-
voli di quanti grammi servono per avere un
certo tipo di effetto piuttosto che un altro etc.
ma anche questo diventa una corsa contro
il tempo e l’insoddisfazione cresce, ecco io
credo che in questo spazio prenda corpo di
nuovo l’eroina o gli oppioidi in generale. La
ricerca e il trovare una dimensione anestetica,
che permette di sollevarsi e guardare oltre la
ricerca quotidiana, che svicoli dall’ossessione
del desiderio, almeno per un po’ “chi lo cerca
non vuole sentire di più, ma sentire di meno,
non vuole partecipare maggiormente alla vita,
ma prendervi parte il meno possibile”.
Finche l’anestetico non diventa ossessione
stessa, diventa difficile mantenere l’adegua-
tezza dello stare e del vivere, l’integrazione
nella società e mantenere quel livello di “clan-
destinità” e si rischia di diventare agli occhi di
tutti un tossicodipendente.
L’interrogativo che si apre riguarda come si
risponde a questi nuovi bisogni. La maggior
parte delle volte la problematicità non si vede,
o se si vede, non è “uguale” a quella degli altri
ho problemi con la sostanza, ho una dipen-
denza dalla sostanza, ma non sono un tossico
da servizio, un normale discorso dei ragazzi
incontrati. Al di là della lettura semplicistica
e strettamente personale delle persone che
incontriamo, un fondo di verità esiste.
Il tratto della ricerca anestetica “non è tipico
solo delle droghe, ma anche dei farmaci che,
per il loro valore anestetizzante hanno un
successo da far invidia al sistema moderno
delle merci, dal momento che nessun bene di
consumo può competere con loro in termini
di soddisfazione e di piacere”, quindi sei la
ricerca di anestetizzante di allontanamento di
distanza di distacco diventa centrale e permea
il nostro modello di vita, la domanda sul come
si interviene diventa più forte, cambiare lo ste-
reotipo della persona che chiede aiuto e forse
cambiare le modalità e i luoghi dell’aiuto. Negli
Stati Uniti il boom dei painkillers ha portato ad
una crescita dell’uso di eroina, perché il farma-
co ad un certo punto non basta più e quindi
cerco qualcosa di più forte. I “nuovi “ usatori
sono persone che appartengono alla fascia
media della popolazione, non solo le realtà più
emarginate o le minoranze. In Italia si registra
un aumento dell’uso di eroina per via iniettiva
e illustri studiosi, sostengono che sia sempli-
cemente legato al fatto che chi utilizza eroina
per altre vie, ha cambiato lo stile di utilizzo per
massimizzarne l’effetto visto, che la crisi e la
mancanza di denaro porta ad utilizzare al mas-
simo quello che si ha. Da qui la crescita delle
morti per overdose, di non “esperti” di persone
che non sono mai arrivati ad avvicinarsi o pen-
sare di avvicinarsi ai circuiti di cura.
Penso che oggi l’eroina abbia un suo spazio
e una sua connotazione come sostanza fun-
zionale rispetto alla ricerca di soddisfare la
mancanza, in particolare per i più giovani.
Le sostanze, le droghe lecite o illecite, sono
parte integrante e, a questo punto fondamen-
tale della nostra vita e della nostra società, il
concetto di trovare un anestetico e di trovare
risposte immediate e di facile soddisfazione.
Quindi la domanda del come si interviene
rimane, visto che il contatto con il mondo l’es-
sere integrato, il far parte di circuiti “normali”
(scuola, università, sport etc.) esistono e se si
stanno affossando non sono, spesso, scom-
parsi e quindi vanno ripristinati, vanno rinsal-
date le connessioni con l’esterno, mantenute.
le vecchie risposte non funzionano. Dobbiamo
cercare una rilettura del nostro stare al mondo
e “dobbiamo smettere di pensarci a partire
dall’animalità come pretende la nostra cultu-
ra quando ci definisce “animali ragionevoli”.
Imprigionati da questa
definizione, guardiamo
le nostre passioni come
gli animali guardano alla
loro fame e alla loro sete,
pure esigenze da soddi-
sfare. Mai ci ha sfiorato
il sospetto che le nostre
passioni non abbiano
tanto un bisogno di sod-
disfare quanto un senso
da dischiudere. Non
abbiamo mai riconosciu-
to loro dell’intelligenza.
Rinchiuse nel fondo
opaco e buoi dell’anima-
lità, le abbiamo conside-
rate sempre come qual-
cosa da contenere”, e di
fatto qualcosa da tenere
nascosto pur continuan-
do a svolgere una vita
apparentemente norma-
le, finché il meccanismo
non si inceppa e volente
o nolente mi trovo nella
posizione di chiedere
aiuto. Probabilmente la
sfida è trovare un inter-
vento prima che qual-
cosa si inceppi, oppure,
di non rivolgerci solo a
chi ha altre problematicità che le sostanze
portano a galla (problemi sociali di altro tipo).
Costruiamo dei tabù che non affrontiamo e
che ci portano a perderci dal contatto con
noi e con il nostro essere e della realizzazione
della propria anima. Trovare il modo di colma-
re la mancanza e rimettere al suo posto il dirit-
to al piacere e costruire una consapevolezza
sul piacere “passare attraverso la realtà che ci
obbliga a congedarci dalla non-curanza, per
abituarci a prenderci cura dei nostri piaceri,
non nella forma an- estetica della soddisfa-
zione immediata come fanno i bambini, ma in
quell’estetica nell’accettazione greca dell’ai-
stehesis o sensazione, che percorre la gamma
che dal “sensibile” giunge al “bello””.
Il senso di vuoto e di mancanza
è strettamente collegato con la nostra società
“…On a great big clipper ship
Going from this land here to that
Ah, in a sailor’s suit and cap
Away from the big city
Where a man cannot be free
Of all the evils of this town…”
1974 Heroin Lou Reed
1,2,3 5,6,7,8,9,10,11,12,13,14,...16
Powered by FlippingBook