Itaca n.2 - page 2

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attualità · Il mondo piccolo
Il nostro mondo è quello delle relazioni so-
ciali, dei deboli, dei fragili, dei sogni appa-
rentemente irrealizzabili, dei progetti eco-
nomicamente perdenti, ed è partendo da
questa rete ed attraverso queste lenti che
vogliamo connetterci con tutto quello che
accade e raccontarlo.
Nel 1929,
Frigyes Karinthy
, nel racconto “
Ca-
tene. Racconto breve di viaggio intorno al
mio cranio
” ha un’intuizione che sarà poi alla
base di diversi importanti studi e conseguenti
teorie sociologiche. Nel suo racconto, Karin-
thy evidenzia un processo paradossale appar-
tenente al nostro secolo: se,
Giulio Cesare
non avrebbe raggiunto un azteco neppure in
cinquecento passaggi, oggi chiunque raggiun-
ge chiunque, ecco dunque che “qualcosa si re-
stringe e diventa più piccolo (il nostro mondo)
e qualcos’altro si allarga e diventa sempre più
grande (la rete delle connessioni)”
La teoria del mondo piccolo, da intuizione let-
teraria, si trasforma in teoria sociologica grazie
ad un esperimento dello psicologo americano
Milgram attraverso il quale dimostrò che ognu-
no su questo pianeta è separato dagli altri solo
da sei persone o sei passaggi. Io sono dunque
legata a chiunque altro nel pianeta -un abori-
geno o un peruviano- da una catena di sole
sei persone.
Ognuno di noi è una porta spalancata su altri
mondi.
Così il pensiero profondo che sta alla base
della teoria del “mondo piccolo” diventa il no-
stro modo di intuire
l’attualità
intesa come la
fitta rete di connessioni tra fatti, persone, mo-
vimenti a noi collegati da sei o meno gradi di
separazione.
Il nostro mondo è quello delle relazioni sociali,
dei deboli, dei fragili, dei sogni apparentemen-
te irrealizzabili, dei progetti economicamente
perdenti, ed è partendo da questa rete ed at-
traverso queste lenti che vogliamo connetterci
con tutto quello che accade su questo pianeta,
e raccontarlo a modo nostro, dal nostro pun-
to di vista. E magari, con sorpresa, accorgerci
che, partendo dal punto più piccolo della so-
cietà attraverso sei soli gradi di separazione,
arriveremo al punto più alto, perché graffiando
un po’ la superficie il vero motore che sta alla
base del pensiero di Karinhy è “…come arriva-
re, attraverso due, tre, al massimo cinque gradi
di separazione a un contatto tra le piccole, re-
lative, transitorie cose della vita e l’assoluto e
l’eterno; tra il tutto ed una sua parte” laddove,
per noi, l’assoluto e l’eterno sono rappresentati
dall’etica e dai diritti dell’umanità intera.
Il Mondo Piccolo
Collocare in quell’area gli immigrati, per
lo più minori e richiedenti asilo, significa
far scoccare una scintilla in un deposito di
polvere da sparo. E così è stato.
Di Mariapaola Modestini
Tor Sapienza, è uno dei quartieri periferici di
Roma capitale, uno dei quartieri periferici più
degradati, uno dei molti esempi di quartiere
ghetto dell’anello esterno della città.
Uno di quei quartieri popolari del nostro tempo,
la parola popolare per me, ha un gusto buono,
familiare ed accogliente, solidale. Uno di quei
posti in cui essere “disgraziato” ti avvicina, ti
rende empatico, “ siamo sulla stessa barca
diamoci una mano” probabilmente retaggio
dei tanti film con
Anna Magnani
.
Accendo la TV ed è come se, per la prima volta,
dall’inizio della crisi, mi rendessi realmente
conto di quello che ci stanno facendo, che ci
stiamo facendo.
Nel quartiere popolare di Tor Sapienza si
sta consumando uno dei peggiori periodi
della nostra storia, dei nostri anni, il quartiere
popolare ha trovato il capro espiatorio delle
sue miserie, delle sue angosce, dei suoi soldi
che non bastano ad arrivare a fine mese, della
sua mancanza di speranze di futuro, della sua
paura, dell’impossibilità di dare ai propri figli
una vita migliore, delle sue bollette insolute,
del lavoro che manca, dell’abbraccio che
manca, di questo buco nero in cui stanno
precipitando, ed il capro espiatorio è lì e
docilmente si sottomette al ruolo.
Il capro espiatorio è lo straniero, lo straniero
i cui figli vengono traghettati da un capo
all’altro della città, dove nessuno li vuole,
lo straniero che ha cavalcato la morte, e ti
chiedi cosa può essere più terribile di un
gommone sovraccarico, dunque lo straniero
è il colpevole.
Rifletto su quanto sia facile spostare il fuoco,
quanto sia semplice convincere la gente che
l’origine dei loro problemi sia in un centro di
accoglienza per migranti, quanto sia facile
convincerci che il problema sia nella fame
dello straniero anziché nell’ingordigia di chi
amministra l’economia del mondo.
Rifletto su questo e non riesco a condannare
la gente di Tor Sapienza, perché in fondo è
stata abbandonata, abbandonata alla propria
disperazione senza salvagente.
Gli ingredienti c’erano tutti una grande
concentrazione di persone povere e sbandate,
in un’area ristretta ed isolata, prostituzione,
droga e degrado. Collocare in quell’area
gli immigrati, per lo più minori e richiedenti
asilo, significa far scoccare una scintilla in un
deposito di polvere da sparo. E così è stato.
Il deposito è saltato innescando una spirale
di rabbia subito strumentalizzata da qualche
politico in declino.
È troppo semplice in questo caso difendere
gli abitanti del quartiere, o al contrario dagli
del razzista. Penso che sia solo una guerra
tra poveri, senza vincitori, ma solo vinti,
tranquillizzato per un attimo dal fatto che,
cacciando l’uomo nero, tutto cambia.
Tor Sapienza
“l’isola dell’ingiustizia”
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