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I N T E R V I S T E - P E R L ’ A P P U N T O
Il mondo SuPerAlberi
uando nascono i SuPerAlberi?
Superalberi nasce nel 2014 da
un incontro, ad un corso di pota-
tura, tra mio padre, il mio socio
e me, con l’intenzione di fonda-
re una società a ridotto impatto
ambientale che si occupasse
della cura degli alberi ornamen-
tali in modo olistico, prendendo
in considerazione la pianta inse-
rita nel suo contesto ambientale.
Qual è la vostra “missione”?
L’obiettivo del progetto è quello di divulgare una
corretta conoscenza del mondo arboreo, al fine
di rendere la convivenza tra uomini e alberi non
solo pacifica, ma anche proficua da un punto di
vista ambientale. Per questo il nostro motto è “Il
nostro lavoro è curare gli alberi, il nostro sogno è
salvare il mondo”. Ogni albero, in un contesto sto-
rico di cambiamenti climatici forse irreversibili, è
un baluardo di speranza per salvare il mondo dalla
rovina per mano dell’uomo. Per questo ci siamo
specializzati nella valutazione di stabilità, al fine
di migliorare e rendere più sicura la convivenza
tra uomini e alberi. Soprattutto nelle nostre città.
I recenti cambiamenti climatici sono sempre più
imprevedibili ed i vecchi modelli di Visual Tree As-
sessement potrebbero non essere più efficaci per
garantire una sicurezza sufficiente. Ecco perché
abbiamo dedicato molto tempo allo studio di un
sistema di valutazione che sia adattabile al singolo
caso, senza perdere la validità scientifica che po-
trebbe derivare dall’assenza di termini di paragone.
Che cosa significa, per voi, “curare ed ascolta-
re” gli alberi?
Il nostro approccio agli alberi è sempre olistico e
prende in considerazione ogni aspetto della vita
della pianta, dalla sua fisiologia alla sua meccanica,
fino ad analizzare le interferenze e le connessioni
con l’ambiente circostante. Va detto che, se ci rife-
riamo alle patologie arboree, è impensabile guarire
un albero, perché, quando un albero viene attac-
cato da agenti patogeni, non può guarire: è impos-
sibile rimuovere le ife fungine dai tessuti legnosi
una volta che queste sono penetrate all’interno dei
tessuti, così come permangono i difetti meccanici
generati da insetti xilofagi (cioè che si nutrono di
legno) anche dopo che questi sono stati debellati.
L’albero quindi è sostanzialmente costretto a con-
vivere con i suoi malanni per tutta la vita. Il nostro
lavoro è finalizzato alla prevenzione e al mettere
l’albero nelle condizioni più favorevoli possibili per
contrastare i patogeni presenti, ed in questo sen-
so apprezzo il termine “cura” applicato alle piante.
Non solo perché diventa un percorso che albero
e arboricoltore percorrono insieme, ma perché
sottolinea che stiamo parlando di un rapporto tra
due esseri viventi, come medico e paziente, e ogni
bravo medico deve riconoscere i sintomi, ma an-
che saper ascoltare il proprio paziente, per poter-
lo capire fino in fondo. Hanno bisogno di noi quasi
quanto ne abbiamo noi di loro.
La vostra esperienza avvicina l’anima de-
gli alberi a quella delle persone. Puoi farci
qualche esempio?
Quasi tutti i giorni incontro persone che davvero
amano gli alberi e gli esempi si accavallano nella
mia mente. Mi sembra addirittura di fare un tor-
to scegliendo solo alcuni tra gli episodi più forti
della mia esperienza, ma lo spazio non è illimitato
(anche perché sennò probabilmente ne uscirebbe
un libro solo sugli incontri tra alberi e persone): mi
scuso quindi se più di qualcuno si sentirà scavalca-
to. D’altronde è impossibile scegliere se racconta-
re gli innumerevoli modi in cui a Fossalta di Porto-
gruaro tutta la comunità si stringe attorno alla sua
quercia, dalle aziende che finanziano gli interventi
fino al cittadino che ci abita di fronte, che ti chiama
preoccupato ogni volta che vede qualcosa che non
lo convince, oppure se raccontare di quel signore
ligure che da otto anni combatte perché il Pino
fuori dal suo condominio non venga abbattuto,
nonostante sia ormai appoggiato al suo terrazzo.
Poche cose sono però paragonabili ai bambini che,
in una scuola, mi chiesero dove piantare un albero
se i loro genitori non glielo avessero permesso nel
giardino di casa. Mi avevano appena domandato
cosa potevamo fare in concreto per contrastare
i cambiamenti climatici. Avevo risposto serena-
mente che uno dei modi più semplici era quello di
piantare alberi, ma la domanda successiva fu un
fulmine a ciel sereno e scoppiai in lacrime davanti
a tutta la classe. Una terza elementare che, in una
domanda innocente, aveva racchiuso tutto il dram-
ma del nostro tempo.
Il tuo libro “La timidezza delle chiome” (Editri-
ce Rizzoli) presenta “la lezione degli alberi per
ritrovare il tempo che c’è stato rubato”. In che
modo, secondo te, questi nostri “maestri natu-
rali” possono darci aiuto?
È un tema che richiamo spesso durante le presen-
tazioni dei miei libri, quello del tempo e del nostro
strano modo, assolutamente umano, di gestirlo (o
meglio, di subirlo). Già da piccoli ci insegnano a di-
sporre gli eventi storici lungo una linea, la linea del
tempo, e manteniamo questa abitudine convinti
di doverci in qualche modo incasellare, di dover
rispettare tappe obbligate durante la vita adulta
mentre corriamo da un’occupazione all’altra, spes-
so troppo distratti per apprezzare ciò che abbiamo
e ciò che ci circonda.
Gli alberi, al contrario, sono silenti e immobili:
radicati a terra e sporti verso il cielo, prendono
dall’ambiente naturale ciò che gli è strettamente
indispensabile per la sopravvivenza, restituendolo
totalmente alla terra al termine del proprio ciclo
vitale, in un’equazione perfetta. Aspettano con pa-
zienza il momento giusto per ogni cosa: la fioritura,
lo stoccaggio di risorse, l’emissione delle foglie, la
loro caduta. Tanto prendono, tanto restituiscono,
e nel mezzo una vita intera, lunga secoli, a volte
millenni. Dovremmo cercare di imparare da loro,
di cambiare le sorti della nostra vita. Cercare di re-
stituire alla natura ciò che ci dà, camminando lievi
su questa terra, con tutto il rispetto che finora non
abbiamo saputo dimostrare, agendo da custodi, e
non come padroni. Dicono che da grandi poteri de-
rivano grandi responsabilità: ma intorno a me non
trovo altri esseri viventi che, pur disponendo di in-
telletto, mezzi tecnologici, verità scientifiche, cau-
sino danni al proprio habitat in misura comparabile
agli esseri umani.
Q
Di Alessandra Morelli
Pietro Maroè è il giovane
fondatore dei SuPerAlberi .
Insieme censiscono e si prendono
cura degli alberi monumentali
del nostro Paese, raccontando
che, da lassù, si impara meglio
a “camminare lievi sulla terra”.
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