Itaca n.1 - page 32

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chiusura
Quando si parla di accoglienza mi viene da
pensare a tanti concetti che si confrontano
con la mia esperienza pluriennale e credo che
negli anni, almeno per quello che mi riguarda,
si è modificata andando di pari passo con la
mia crescita personale e professionale.
L’accoglienza, infatti, non è un concetto scon-
tato o dato per acquisito ma in continua evolu-
zione che ne evoca altri: tolleranza, diversità,
paura, dubbio, vicinanza, distanza, relazione,
limite, fallimento, empatia. L’accoglienza si
instaura nell’ambito della relazione di dis-
ponibilità e comprensione, non dovrebbe
mai assumere un’accezione di “pietismo” e
“assistenzialismo”.
Spero di parlare al passato quando ci si sco-
priva presi all’ “indurre inconsapevolmente”
un cambiamento in nome di un progetto
non condiviso con l’altro ma frutto del nos-
tro “sapere” e che prescindeva dai bisogni
reali di colui che chiedeva di essere accolto.
L’accoglienza nasce prima dell’ingresso di un
ragazzo, come quando una coppia desidera
mettere al mondo un figlio, questo figlio è già
stato accolto nella mente e cuore dei futuri
genitori prima ancora del concepimento.
L’accoglienza è uno stato d’animo a cui ci si
predispone e ci si espone come individui con
paure, pregiudizi e limiti con i quali bisogna
fare i conti con onestà per sapere accogliere
realmente difficoltà altrui. Accoglienza, quin-
di, come fiducia nell’altro, nelle sue poten-
zialità di evoluzione, accettare le possibili
regressioni, in vista di un obiettivo reale e
concreto. Gli obbiettivi possono essere gran-
di ma anche minimi comunque importanti per
la persona che deve raggiungere.
Accoglienza è anche consapevolezza cos-
tante circa le proprie azioni ed emozioni che
induce interrogativi importanti ai quali bisog-
nerebbe rispondere poi con onestà operativa,
ad esempio: “perché con alcuni ragazzi mi
viene un approccio facile e con altri meno?”
oppure: “la mia accoglienza è efficace? Vorrei
essere accolto come faccio io con l’altro?”.
L’altra faccia dell’accoglienza riguarda l’oper-
atore. Anche lui ha bisogno di essere accolto
e “raccolto” nella relazione di aiuto, soprattut-
to nei momenti di criticità che inevitabilmente
lo colgono durante l’iter operativo. Egli ha
bisogno di molta serenità per non perdere la
capacità di giudizio e di conseguenza effica-
cia operativa.
L’èquipe va intesa come risorsa collettiva e
personale, dove ogni membro può e/o trovare
calore, conforto, confronto.
Mi si permetta un esempio “familiare”: i figli
stanno bene quando i genitori stanno bene.
Sia l’operatore come l’èquipe seguono un
processo di maturazione nel corso del tempo
che consente una maggiore coesione e una
gamma di risposte più articolate alle diverse
problematiche che si presentano e alle diverse
richieste di aiuto che si possono soddisfare,
talvolta sono vere e proprie sfide.
Riflettendo sulla storia della nostra cooperati
iva, ci si rende conto che oggi la gestione
del disagio è diventata più ampia, si sono
superati tanti limiti come l’età, trattamenti
metadonici, sieropositività, disagio mentale
che oggi per fortuna, fanno sorridere e sono
diventati preistoria perché siamo cresciuti
e non solo con l’età! Tuttavia l’attivazione di
sempre nuove sfide se da una parte affascina
dall’altra richiede aggiornamenti e confronti
continui anche con realtà diverse dalla nos-
tra, certamente non corriamo il rischio della
monotonia.
Concludo con una preghiera che mi è stata
insegnata da una brava psicoterapeuta
durante un corso di specializzazione che
credo possa essere d’aiuto a tutti.
“Che io possa avere la forza di cambiare le
cose che posso cambiare, che io possa avere
la pazienza di accettare le cose che non
posso cambiare, che io possa avere soprat-
tutto l’intelligenza di saperle distinguere.”
Thomas Moore
Direttore responsabile
Antonio Flajani
Redattori
Giuseppina Pica, Laura Mandozzi, Carla
Capriotti, Antonella Fortuna, Mariapaola
Modestini, Mario Giostra, tutti i ragazzi e le
ragazze dentro e fuori.
Contatti
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cell. 349 2607534
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L’accoglienza è uno stato d’animo
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