Itaca n. 9 - page 14

in contatto con i pensieri che non supe-
rano la fessura delle labbra, per sbroglia-
re le stratificazioni emotive e trovare un
porto sicuro in cui poter urlare i propri
incubi e bisbigliare i desideri più recondi-
ti. A tal proposito Dario Faini ha spiegato:
«La musica aleggia nell’aria, nel cosmo
ed io provo a sintonizzarmi su alcune
frequenze per captarle attraverso
l’anima,filtrarle e creare qualcosa di
personale, in grado di tornare all’uditorio
sotto forma di energia. Per questo
motivo il live è l’aspetto più importante
dell’intero processo. È il momento finale,
il punto di congiuntura, l’attimo in cui le
vibrazioni musicali che ho colto e messo
su carta tornano a livello della performan-
ce grazie al pubblico che le restituisce. Si
tratta in definitiva di un flusso spirituale di
cui non riesco a fare a meno».
La musica
aleggia nell’aria,
nel cosmo ed io provo a sintonizzarmi
su alcune frequenze per captarle attraverso
l’anima, filtrarle e creare qualcosa di
personale, in grado di tornare al pubblico
sotto forma di energia.
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SPIRITUALITÀ E DINTORNI
Dario Faini:
il flusso spirituale della musica
Di Valentina Falcioni
A
momento, ci priva della ritualità e del
rapporto sinergico col nostro Io. Qualco-
sa di simile è capitato a Dario che nel
2006 ha firmato un contratto come
autore con l’editore musicale leader di
mercato, la Universal Music Publishing
Group. Per anni si è dedicato alla scrittu-
ra e alla composizione di brani per
cantanti italiani come Luca Carboni,
Gianna Nannini, Fiorella Mannoia,
Francesco Renga, Nina Zilli, Irene Grandi
e Noemi. Ogni volta il pezzo si è rivelato
un successo. Nel 2014, però, ha dato
vita a Dardust, un ensemble che si
occupa di musica neoclassica/elettroni-
ca. In questo cosmo che ha fermamente
desiderato, può finalmente comporre e
suonare il pianoforte per progetti lontani
da logiche discografiche e radiofoniche.
A tal proposito ha affermato: «È stata
un’esigenza creativa ed emotiva. Dopo
dieci anni al servizio di altri artisti, ho
deciso di generare qualcosa che potessi
veicolare in prima persona. Per farlo, ho
scelto la strada più vera, senza dover
scendere a compromessi. Non ho
formulato un progetto ordinario poiché
sentivo l’esigenza viscerale di liberarmi
da ogni forma di categoria. Avrei potuto
forgiare un progetto macina hit, ma ho
preferito concepire un percorso unico, in
grado di rispecchiare i miei gusti ed è
così che ho attinto dal neoclassico
all’elettronica passando per tutto lo
lcuni antropologi sostengono
che la musica e più in partico-
lare le facoltà musicali non
siano mai state un tratto adattativo
indispensabile all’evoluzione e non
abbiano mai avuto un’utilità propria-
mente biologica. In poche parole per
una fetta di studiosi l’arte di ideare e
concepire successioni strutturate di
suoni non ha rivestito un ruolo fonda-
mentale nella sopravvivenza del genere
umano. Per altri, invece, il suono è il
primo dei cinque sensi a formarsi nello
sviluppo embrionario e sin dal momento
della nascita il bambino è attratto dal
ritmo, in particolar modo da quello che
evoca il battito del cuore materno. Di
conseguenza, come ha affermato
Marina Pinto che da anni si occupa di
etnoantropologia, la musica ha giocato
un ruolo fondamentale nell’evoluzione
della specie umana e soprattutto
nell’adattamento societario. Era di fatto
una forma d’attrazione per la seduzione
e la riproduzione, uno strumento di
coesione e rafforzamento sociale, un
veicolo di sviluppo del sistema uditivo e
un potente mezzo di comunicazione
transgenerazionale. Pensiamo per
esempio all’aedo che tramandava il mito
e l’identità di un popolo con il canto e il
suono della cetra. La musica aveva,
pertanto, la potente capacità di influire
sullo stato emotivo e spirituale della
persona che trovava nella musica un
efficace impianto di seduzione, un fidato
alleato nella lotta alla paura e un’arma,
al pari di una picca o di una daga, per
fomentare il coraggio in battaglia. Chi
praticava la musica, dunque, rivestiva
un ruolo sostanziale e sia per Aristole
che per Platone era addirittura invasato
da un daimon, uno spirito guida.
L’ispirazione
artistico-musicale
in
antichità veniva equiparata a una
possessione demoniaca e per Ludwig
van Beethoven “la musica era la media-
trice tra la vita spirituale e la vita sensua-
le”.
Nel ventunesimo secolo cosa è cambia-
to? Un compositore tesse ancora
questo rapporto viscerale, costante e
vitale con la cosiddetta “arte dei suoni”?
È stato chiesto per Itaca a Dario Faini,
compositore, pianista e produttore
discografico nato ad Ascoli Piceno nel
1976. Il mondo contemporaneo è un
rullo che lascia scorrere le esperienze in
maniera dinamica, ma spesso la voraci-
tà bulimica con la quale divoriamo il
shoegaze e il dream pop evitando l’uso
della voce. Quasi inaspettatamente è
stata una scelta seguita e apprezzata.
Tale percorso mi ha confermato che se
dietro a un desiderio complesso vi è
convinzione e onestà emotiva, prima o
poi questo tende ad avverarsi».
In una recente intervista Ennio Morricone
ha affermato: “Non scrivo per il succes-
so. Scrivo per me. (…) La musica poi è
intangibile, non ha sembianze, è come
un sogno: esiste solo se viene eseguita,
prende corpo nella mente di chi ascolta”.
Un pianista sa che i tasti neri, come
l’ombra in un dipinto e la fragilità nell’ani-
mo umano, sanno celebrare quelli
bianchi attraverso la ricerca dell’armonia
che è anche accettazione dell’incurabile
bellezza. Comporre ad un certo punto
diventa un bisogno spirituale per entrare
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