Itaca n. 6 - page 4

Dai muri a costruttori di ponti
Visionari - Che cos’altro è possibile?
Non abitiamo più nell’ “epoca della
casa”, viviamo nell’età dell’esodo
dell’attraversamento, dei senza casa,
dove non si conosce la promessa di una
terra, ma solo il suo contorno, definito
dalle relazioni tra le persone.
Di Gigi Nardetto
Cantiere “Internazionale e migrazioni” CNCA.
N
ell’esodo, però, tutto diventa incer-
to. Uno dei tanti volti è rappresenta-
to dalla moltitudine di uomini e don-
ne senza casa, in movimento dai
propri paesi, per motivi di lavoro, religiosi,
politici. Quasi il 40% della popolazione dei
Paesi poveri, se potesse, vorrebbe lasciare la
propria terra per raggiungere le nazioni ric-
che. Ciò significa che si tratta non più di mi-
lioni, ma di centinaia di milioni, forse di miliar-
di di persone che si trovano nella situazione
di essere costrette a partire. La spinta a mi-
grare durerà non anni ma decenni. Perché la
differenza di reddito da una parte all’altra del
mondo è epocale e il desiderio di migrare non
è che una risposta naturale, razionale, alla di-
seguaglianza.
L’esodo porta con se l’apertura di nuove
fratture, di costruzione di nuovi muri: Calais,
Ungheria, forse Brennero sono solo alcuni
tra gli ultimi. Perché costruiamo muri, anzi-
ché ponti? Eppure da questa scelta dipende
il destino di tutti, dei migranti e dell’Europa.
Difficile rispondere senza allargare il quadro e
senza capire che le nostre parole – migrante,
profugo, immigrato, rifugiato – appartengo-
no ad un lessico che non è più in grado di
cogliere i profondi processi in atto. Finora, i
flussi massicci di sfollati, conseguenza dei
fenomeni di povertà estrema, dei conflitti ar-
mati e disastri ambientali solo in minima par-
te ricadevano sul “nord globale” del pianeta,
che comunque ne traeva profitto per mano
d’opera a basso costo e via di questo passo.
Ricordiamo che fino al 2011, circa l’80% dei
profughi era ospitato nei Paesi del sud del
mondo e circa 5 milioni di profughi risiedeva
in Paesi con un Pil pro capite annuo inferiore
ai 3mila dollari. Poi le cose hanno cambiato
verso. Sono tornati i muri. Proprio nel cuore
di questo processo, in un’Europa che si vole-
va senza confini, senza muri, senza barriere,
confini, muri, barriere hanno ricominciato a
crescere. A marcare uno spazio, istituendo
un dentro e un fuori, caratteristiche di ogni
spazio chiuso.
Bisogna sì criticare chi alza muri e
reclama nuovi confini, ma bisogna
preliminarmente e concettualmente
rendere visibili gli invisibili, illuminare
le soglie, scoperchiare i limbi. Capire
le nuove soglie dell’esclusione è una
necessità per una società civile che
rischierebbe, altrimenti, di venir meno
ai suoi presupposti. Queste soglie
sono tantissime, stanno crescendo
e vanno diversificandosi. Sono po-
tenzialmente qui i nuovi spazi in cui
agire, in cui creare economie locali,
nuove storie, nuovi modi di appart-
enenza. Ma per agire bisogna capire.
(Sassen Saskia)
Sulle fratture noi stiamo disegnando la pro-
messa nuova. Non c’è un’integrazione da
mettere in atto ma una vera e propria rifonda-
zione di senso del legame tra noi, dove ognu-
no può fare la sua parte.
I visionari del passato ci piacciono perché
si connettono con quella parte di noi che
ha le ali. In fondo a tutti noi, nascosta
sotto la cenere, alberga quella scintilla
indomabile dello spirito.
Di Marina Palumbo
Q
uando
Francesco Cicchi
mi ha
chiesto di scrivere questo articolo,
ho accettato subito per affetto. Ma
un attimo dopo, appreso quale fosse
il tema, ammetto di essermi sentita un po’
spersa... Visionari? Una sfilza di nomi ha at-
traversato la mente con la velocità di un treno
giapponese:
Mozart, Picasso, Leonardo,
Gandhi, Madre Teresa
.... Ferma. Qualcosa
di più attuale? Esseri umani ispirati di oggi?
D’accordo, il Nobel a
Bob Dylan
. Però... Allo-
ra ho fatto una di quelle cose che fanno i gior-
nalisti quando hanno bisogno d’ispirazione:
ho frugato l’archivio della più grande agenzia
di stampa italiana, l’Ansa. E una cosa ha col-
pito la mia attenzione. Cercando la parola “vi-
sionario”, nelle prime dieci pagine di risultati
c’erano solo articoli su persone morte. E que-
sto già fa riflettere sulla nostra capacità di ri-
conoscere il talento e il genio. Ma poi, dopo
dieci pagine, eccolo finalmente, il primo Vi-
sionario ancora vivo. È
Richard Branson
, il
biondo fondatore del colosso Virgin, dagli ae-
rei alle palestre. Ecco, questa è una mente
interessante. Allora sono andata a scoprire
come ragiona, come vive, come sente dentro
nella pancia un visionario. Richard tiene un
piccolo diario, proprio sul suo sito aziendale.
Voi ve lo immaginate
John Elkann
che tiene
un diario dei suoi pensieri personali e delle
sue calze verdi sul sito corporate del gruppo
Fiat? Richard lo fa.
E scrive di come la mattina uscendo
di casa la moglie gli abbia visto le
calze verde fluorescente e gli abbia
detto: “sono le più brutte che io ab-
bia mai visto”. E di come lui le abbia
risposto che “non importa, tanto non
le vede nessuno”, dimenticando che
quel pomeriggio sarebbe stato su un
palco con davanti una platea inter-
nazionale di 400 imprenditori.
Tutti con gli occhi fissi sulle sue calze ver-
di fluorescenti. Lo racconta quasi riden-
do, come io e voi faremmo a cena con gli
amici, prima di passare a lodare quanta
ispirazione ci fosse in questi 400 giova-
ni imprenditori e quanto ci fosse da im-
parare, persino per lui, nel sentirli parlare.
Basta leggere un solo suo post per tro-
varvi gli elementi dirompenti che con ogni
probabilità hanno fatto parte dei visionari
di ogni epoca. La capacità di non prender-
si troppo sul serio e di essere persona di
fronte ad altre persone, senza schermi, ri-
dendo insieme delle cose buffe della vita.
E poi, l’ispirazione, l’eccitazione simile a
quella di un bambino con un gioco nuovo,
portata però in altri ambiti della vita; chi dice-
va: se trovi una passione e ne fai il tuo lavoro
non lavorerai un solo giorno? Ascoltare sé,
il proprio istinto, il proprio sapere, il proprio
entusiasmo, dimenticandosi del resto: rego-
le, consuetudini, standard. Non facendone
una battaglia di trasgressione, qui non c’è
un opporsi, c’è un correre dietro alla palla in
strada, dimentichi dei calzoncini strappati.
E ancora, stabilire relazioni. Basta un’oc-
chiata al post successivo: “Levatevi dalla
scrivania, uscite in strada, parlate con per-
sone in carne e ossa. Le migliori idee vengo-
no da quelli che non stanno mai in ufficio”.
Passione, divertimento, capacità di sognare.
I visionari del passato ci piacciono perché si
connettono con quella parte di noi che ha le
ali. In fondo a tutti noi, nascosta sotto la ce-
nere, alberga quella scintilla indomabile dello
spirito. E allora non resta che lasciarle com-
piere la sua magia. Che cos’altro potremmo
essere, tutti noi, che non siamo ancora stati?
Come sarebbe se tutti decidessimo oggi di
essere un po’ più umani, un po’ più autentici
e di giocare un po’ di più? Quali altri mondi
sono possibili?
attualità
il mondo piccolo
Baranjsko Petrovo selo Beremend, confine fra Croazia ad Ungheria. Foto di Stefano Lusa Corrispondente di OBC - Transeuropa
Richard Branson (al centro), fondatore di Virgin
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