Itaca n.2 - page 13

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spiritualità
Da “Preghiere Probabili” di Vinicio Albanesi
Edizioni San Paolo 2002
Penso di avere un cancro:
non è possibile;
all’ospedale sono incerti.
Ho delle crisi;
non sono frequenti.
Prima, quattro cinque volte
Il giorno,
ora, con le pastiglie, di meno.
74 giorni di ospedale,
a Macerata.
Non hanno capito molto.
Sono incerti.
Sabato andrò ad ancona.
Lì sono più bravi:
forse faranno
la risonanza magnetica.
Ho due giorni; faccio un giro.
Sabato mattina mi ricovero;
oggi è giovedì.
Passo a trovare gli amici.
Qualche giorno
dovrò rimanere in ospedale:
non molti.
Fanno quello che debbono fare:
la risonanza magnetica,
l’elettroencefalogramma,
la visita neurologica.
Sono in crisi.
Un morto ambulante.
Con il Luminal
le cose vanno meglio.
Maledetta toxoplasmosi.
Non sto proprio male.
Il conteggio a zero.
Quasi quasi
torno da mia madre.
Debbo vedere: però su è meglio.
Lei non dirà di no.
Le dico come sta la situazione.
L’ho sempre detto:
mia madre è in gamba.
Sette figli. Io, il primo,
gli altri si sono sistemati.
Ora vanno bene:
uno è un po’ strano;
ha il suo giro
però si regola;
le sorelle sono in gamba.
Sono depresso: tu sai
che non sono mai depresso.
È che non ho futuro.
Fino a poco tempo fa
avevo la macchina.
Non mi facevo;
qualche volta ci bevevo su.
Con gli psicofarmaci, fa male.
Ho avuto un incidente
con la Golf vecchia,
ma andava bene.
Lo sfasciacarrozze ha detto:
“Ma quello che guidava
è morto”.
“Sono io”, gli ho risposto.
“Quanto mi dai?”.
“Che posso darti?”.
“Fetente!”.
Il mio sogno lo conosci.
Il mio nome sul campanello.
Quanto ti chiedono,
come ti chiami?
Ecco il nome.
Dove abiti?
Ecco la casa: Via…
Che lavoro fai?
Ecco il lavoro.
È bello: il nome sul campanello.
Come tutti,
proprio come tutti.
Non devi dire mai
che sei sieropositivo.
In ospedale ci pensano loro.
Le donne scappano tutte, tutte.
Quando vai in giro devi dire
Nome, via, lavoro. È fatta.
Adesso un po’ mi fermo.
Ci riuscirò.
È un po’ difficile.
Penso che non sia
Cancro alla testa.
E perché il cancro?
Se è cancro, è finita.
Toxoplasmosi.
Ho qualcosa alla parte destra.
La notte sento qualcosa, frulla,
sulla parte destra, non capisco.
Con il Luminal va meglio.
Non sono bevitore: se capita.
Qualche volta.
Se mi succede qualcosa
tu vieni al funerale: ci conto.
Ma tu vieni.
Grazie degli auguri,
ci sto pensando,
però il mio futuro adesso
non è possibile.
Non mi lascio andare.
Franco e Paolo sono morti,
tutti sono morti.
Lo ricordi?
Quello con i capelli lunghi.
Sono morti.
Vigliacchi;
danno il metadone a quintali.
A che serve? Ti stravolge.
Muori lo stesso.
Il problema è la mattina;
non riesco ad alzarmi,
poi va: la mattina è brutta.
Acciaccato.
Era venuto da me a 17 anni.
Scappato di casa.
Il papà, infermiere,
era morto di infarto.
Era il primo di sette figli.
L’avevano eletto capofamiglia.
Aveva lavorato da fornaio,
da commesso, in fabbrica.
Non ce la faceva.
Lui non poteva farcela:
a 15 anni non si può essere padre
di altri fratelli e sorelle.
Il padre era un duro e un forte,
la mamma una dolce e remissiva:
lui era solo un ragazzo.
È andato e venuto per anni,
fino a che è ritornato tossico.
Di brutto.
Una specie
di innamoramento perduto.
Ho inventato e messo in atto
tutto quello che psicologi,
sociologi, terapeuti indicano.
Pure di più.
Tutto l’inevitabile:
controlli, psicoterapia,
lavoro, casa,
colloqui, riferimenti.
Metodi duri e dolci.
Sistematicamente inutile.
Mi ha sempre imbrogliato.
Ho analizzato
il mio comportamento
l’ho sentito figlio
e non so se sono stato
suo complice.
Se anche fosse, non importa.
Ho alzato le mani e ha vagato.
Altri l’hanno accolto:
sono stati altruisti e generosi;
l’hanno accompagnato
fino alla fine.
Mi sono rivolto a Dio
per chiedergli
perché un ragazzo qualsiasi,
di una qualsiasi famiglia,
di una qualsiasi città
dovesse essere investito
di una missione
al di sopra delle sue forze.
Lui è la vittima:
dell’infarto del papà.
Ha avuto una dolcissima
attenzione alla mamma.
È fuggito via,
senza mai disturbarla,
privandosene.
È morto solo, in un cesso
di una grande città,
sfinito e perduto.
Dio l’accolga
E lo compensi
del suo sacrificio.
Gli avevo promesso di andare ai funerali:
non sono andato perché,
contemporaneamente,
ho accompagnato
una mamma
morta in un incidente stradale,
con due figli piccoli,
anch’essi morti.
Forse ho privilegiato
la normalità.
Il mio nome sul campanello
“Il bene è pari al sole e come il Sole con
la sua luce dona visibilità alle cose, così il
bene offre intelligibilità alle idee”.
Ama. È un invito affascinante. Rappresenta
allo stesso tempo un’esortazione, uno stimolo,
un imperativo morale.
Un tale incoraggiamento riporta alla mente
le straordinarie parole di Kant: “Due cose
riempiono l’animo di ammirazione (..), il cielo
stellato sopra di me e la legge morale dentro
di me”. Non si tratta di affermazioni buttate lì
a caso o di un riuscito esercizio retorico; per il
filosofo tedesco la base di ogni valore morale
era la razionalità posta a servizio della buona
volontà.
Ed è proprio questo l’amore che vogliamo nar-
rare in queste pagine, uno stile di vita che trae
i suoi significati da una scelta razionale che si
pone al fianco di una esperienza estetica. Si,
perché l’amore, per come vogliamo declinar-
lo, è bellezza. È la purezza dell’anima che si
concretizza nel fare di tutti i giorni; è il senso
di meraviglia del bambino che vive in ciascuno
di noi che si cristallizza in un servizio attento
all’altro. Quando si parla di amore è necessario
essere prudenti e consapevoli di utilizzare un
termine inflazionato dal troppo uso e sottopo-
sto ad una deriva mediatica preda di capric-
ci, attaccamenti ed appetiti; un miscuglio di
significati che segue in modo acritico i titoli dei
romanzi e il ritornello delle canzoni.
Per noi si tratta di qualcosa di diverso. È
l’esperienza spirituale di chi va alla ricerca
dell’altro dovunque egli sia, della sua unicità e
del suo valore intrinseco di persona. Vogliamo
declinare e narrare un amore universale che
non conosce alcuna forma di discriminazione.
Nel piccolo universo che intendiamo descri-
vere, la fantasia si pone, quindi, al servizio
della dimensione del fare: “Ama e fai quello
che vuoi”, affermava Agostino e basterebbe
questa frase per definire in modo esaustivo un
percorso culturale ed un progetto di vita.
Siamo consapevoli di non affrontare un tema
inedito. Siamo invero in ottima compagnia.
Già Platone descriveva l’idea del bene come
il Principio di ogni altra idea. “Il bene è pari al
sole e come il Sole con la sua luce dona visi-
bilità alle cose, così il bene offre intelligibilità
alle idee”. Dinanzi a tali giganti del pensiero
non possiamo che sentirci piccoli ed inade-
guati ma ci consola la consapevolezza di non
voler avventurarci in un riuscito componimento
stilistico. La nostra ambizione è dar vita ad
un cantiere sempre aperto, una sorta di “labo-
ratorio di fraternità”, che osserva il mondo,
riflette sulle diverse dimensioni dell’amore e le
sue possibili realizzazioni.
Forse ci stiamo sforzando di descrivere una
chimera, un progetto irrealizzabile. Ma questo
sogno ci ha tenuto per mano per tutti questi
anni e ancora guida i nostri passi. Questa
piccola rubrica intende per l’appunto, cogliere
l’essenza e la spiritualità di tale utopia cercan-
do ogni volta il modo di farne dono.
AMA. Spiritualità e dintorni
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