Itaca n. 4 - page 12

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La grazia oggi è un valore molto importante,
per noi che viviamo in un’epoca assolu-
tamente brutale. Siamo oltre la violenza,
siamo ad un livello tale di violenza che
siamo ormai narcotizzati, abituati, quindi
la grazia è quello che ho riscontrato in
San Francesco. Intervista ad Aldo Nove.
Di Ivana Forlini.
D. Da “La vita oscena” a “Tutta la luce del
mondo” c’è il suo personale passaggio dal
buio alla luce. Può sintetizzarci questa sua
esperienza?
R. Passare dal buio alla luce significa semplice-
mente il passaggio della predominanza dell’uno
rispetto all’altro, forse uno degli errori più grossi
che possiamo commettere è pensare che la vita
debba, o possa essere, o tutta luce o tutta buio,
quindi, o la disperazione, oppure ci aspettiamo
una felicità immensa che invece non è data
perché come diceva uno famoso di tanti secoli
fa ogni giorno ha la sua pena e questo riguarda
veramente chiunque. Credo che ad un certo
punto si inizi ad accettare la vita sentendone il
gusto, il gusto pieno della vita, che era lo slogan
di una famosa pubblicità ma è anche una for-
mula che forse si può usare in un contesto pure
molto serio. Se impariamo a gioire delle piccole
cose, più che altro se ci abbandoniamo a quello
che succede, la consapevolezza a cui arriviamo
è che è sempre un po’ fifty fifty . Un fifty di pia-
cere e uno di dolore e forse l’uomo nero si gen-
era proprio quando si cerca di cancellare quella
parte nera, per credere, desiderare, sperare che
ci sia soltanto luce.
Ma questo non è umano perché anche il dolore
fa parte della vita, quindi la comprensione del
dolore, il senso del dolore, e in questo
San
Francesco
è stato veramente un grandissimo
maestro. Tutta la sua vita è una testimonianza
di questo, la gioia di vivere nella complessità
del vivere. Noi veniamo da anni strani cioè c’è
stata tantissima povertà nel secolo scorso, poi
ci sono state le due guerre, poi questa cosa
del boom economico e probabilmente per un
30enne, l’edonismo. Cioè noi siamo stati abit-
uati a vivere in un mito di finto e continuo pia-
cere, un piacere specialmente merceologico,
cioè un piacere fatto dall’avere cose, dal poter
fare cose specialmente inutili. Si è sviluppata la
cultura dell’inutile, non è che tutto deve essere
utile, anzi si è passati nel lato opposto cioè
questo fatto dell’austerità, per 30 anni ci siamo
storditi, potevamo e dovevamo solo divertirci
mentre adesso dobbiamo soltanto lavorare…
ma neanche, ora dobbiamo solo disperarci per
trovare un lavoro che non c’è.
D. Il suo percorso di vita può considerarsi
catartico ma è servito a liberarsi dall’uomo
nero? - O, una volta scacciatone uno, ce n’è
sempre un altro in agguato? - Oggi, se c’è,
qual è il suo uomo nero?
R. L’uomo nero c’è sempre, bisogna imparare
a conviverci, anche a volergli, in qualche modo,
bene. L’uomo nero è sempre il sintomo di un
disagio quindi va ascoltato, invece di essere
scacciato va sentito: che cosa vuoi uomo nero?
- Per quale motivo mi perseguiti? - Bisogna
trovare una forma di dialogo con l’uomo nero
senza averne una paura tale da far si che poi
vinca e poi in realtà siamo noi che lo facciamo
vincere, è la nostra stessa paura che diventa
così grande da farlo vincere.
D. In quale misura la nostra capacità di supe-
rare la paura del diverso è legata alla nostra
incapacità di saperci relazionale in maniera
costruttiva e accogliente con le persone con
cui condividiamo lo stesso codice di valori e
la stessa cultura? L’indifferenza o la preva-
ricazione dell’altro simile a noi, ci preclude
la possibilità di giungere ad una convivenza
civile e pacifica con ciò che è altro da noi? -
Con il diverso, con l’uomo nero?
R. Alla base di tutto c’è la paura e la paura ha
a che fare con l’ignoranza, è l’idea che l’altro
sia veramente tale e quindi a livello più rozzo si
manifesta nel modo più esteriore come il colore
della pelle diversa dalla mia, perché parla un’al-
tra lingua, perché si veste in un modo diverso,
quindi in realtà l’uomo nero è l’ignoranza cioè
la non conoscenza, ti fa paura ciò che non
sai ciò che non conosci, poi scopri che l’altra
persona ha gli stessi tuoi desideri, le tue stesse
aspirazioni, però è una cosa che deve essere
vissuta non può essere teorica. Io vengo dalla
provincia di Varese, da piccoli paesini di gente
che lavora, che tende molto a chiudersi e fa fat-
ica ad uscire e incontrare altri mondi. Il fenom-
eno del leghismo nasce proprio lì, da una forte
etica del lavoro e della famiglia quindi in fondo
da persone, tra virgolette, buone, che si danno
da fare, che però si trasformano in cattive
quando riconoscono soltanto se stesse. Quindi
l’ansia. Non capisco cosa l’altro vuole, perché
è diverso, se io so che comportandomi così
sono nel giusto, quell’altro fa una cosa diversa
da quella che faccio io, per cui non è giusta ed
è così che si crea proprio la base dell’ostilità nei
confronti dell’altro. La paura che questa diversi-
tà possa essere pericolosa.
D. L’attuale crisi economica, affiancata da
una pervasiva azione mediatica, volta a
creare finti bisogni e aspirazioni al pos-
sesso sempre più estremo, ci inducono ad
identificare l’uomo nero nel migrante che
viene a toglierci ciò che è nostro. In questo
contesto quanto può pesare il ruolo di Papa
Francesco che anche nell’ultima Enciclica
stigmatizza le responsabilità oggettive e
soggettive?
R. Non so quanto effettivamente possa pesare,
so che io l’ho letta e l’ho trovata stupenda,
infatti nell’Unità di ieri c’è la pagina divisa in
due: si del mio articolo, e poi no dell’altro che
sosteneva che Papa Francesco è contro la
tecnica, contro la modernità secondo me ha
letto un altro testo! - Papa Francesco è un
cocktail stupendo, nel senso che è un Gesuita,
ha la grande cultura e la capacità di relazio-
narsi con gli altri tipica dei gesuiti, viene da
una realtà complicatissima ed estremamente
eterogenea e complessa come quella dell’Ar-
gentina e si ispira a San Francesco e cerca da
gesuita, che come dice lui viene dalla fine del
mondo, di ispirarsi alla semplicità di Francesco,
e lo fa. È quasi un paradosso essere Gesuita
e Francescano, dovrebbero essere due figure
diverse, ma nel suo caso sono perfettamente
armonizzate. C’è un ecumenismo fortissimo,
viene citato il Patriarca della scuola Ortodossa,
Bartolomeo, vengono citati i Sufi, quindi l’Is-
lam e i testi Induisti e c’è alla fine un elogio
agli aborigeni che sono spiritisti, quindi il loro
rapporto con lo spirito della terra e veramente
diventa un grande abbraccio tra tutti gli uomini
e tra tutte le religioni ed è quasi commovente
quando nel secondo capitolo parla di cose teo-
logiche e quasi si scusa.
Come a dire scusate sono il Papa, devo parlare.
Ricorda un po’ quel: “chi sono io per giudicare
un gay?” - Sei il capo di una delle due religioni
più importanti del mondo! - Quindi un atteggia-
mento di grande umiltà, legato all’abbraccio a
tutta l’umanità e alla consapevolezza del disa-
gio spirituale che deriva dal fatto che siamo su
un pianeta che stiamo distruggendo. Mi aveva
colpito su un giornale il titolo “Papa Francesco,
l’ultimo marxista”, ma direi proprio di no, che
non c’entra! - Non il mistico che si isola dal
mondo ma la spiritualità vissuta nella vita di
tutti i giorni e in comune con tutti! - Francesco,
nel suo testo, riferendosi a San Francesco,
dice che tale è questa nostra fratellanza che ci
lega anche, come nel Cantico delle Creature,
agli animali, alle pietre, agli animali, all’acqua,
all’aria, tutto è legato a tutto. Per un paio di
secoli sono state violentemente separate scien-
za e religione, adesso con la fisica quantistica,
tendono ad avvicinarsi, se tutto è vibrazione,
in qualche modo tutto è uno, è variazione di
un’unica vibrazione, che poi uno la chiami Dio,
la chiami Allah, o voglia di vita. Questo Papa
è molto consapevole e questo gli è dato dagli
anni di apprendistato del sincretismo argentino
perché li veramente c’è lo sciamanesimo, un
minestrone incredibile e lui viene da lì.
D. Questo suo interesse per San Francesco
è recente o viene da lontano?
R. L’interesse per San Francesco è anzitutto
letterario, nel senso che a 16/17 anni, al liceo,
ho “beccato” una copia dei Fioretti di San
Francesco e sono andato in estasi per questo
linguaggio così ingenuo, anche ruvido, per
quanto un po’ difficile, perché si tratta sempre
di un testo di 800 anni fa, però ho avvertito
una grazia e un candore, una dolcezza, ma
soprattutto mi ha colpito la grazia, infatti è
l’argomento che ho esaltato di più nel mio
libro di poesie “Addio mio 900” e penso che
la grazia, oggi sia un valore molto importante,
noi che viviamo in un’epoca assolutamente
brutale, siamo oltre la violenza, siamo ad un
livello tale di violenza che siamo ormai narco-
tizzati, abituati, quindi la grazia è quello che
ho riscontrato in San Francesco. Poi quando
ho fatto l’università, che ho fatto lavorando e
mi sono laureato in Filosofia Morale, mi sono
concesso di studiare Storia del Medioevo e
specialmente quel passaggio tra il 1100 e il
1300 e San Francesco faceva già parte di quella
che si sarebbe chiamata la borghesia, cioè non
era un nobile, era un ricco e viveva in un mondo
che stava completamente cambiando e che nel
contempo aveva ancora un immaginario medi-
evale. La parola Medioevo a me piace molto
perché significa epoca di passaggio, prima
c’era la classicità e poi c’è stata l’era moderna.
Anche questo è un medioevo, in quanto stiamo
passando da qualcosa a qualcos’altro che non
capiamo e che ci fa paura. Attorno c’è forse, la
figura profetica più famosa nel periodo di San
Francesco, Gioacchino da Fiore che previde
l’arrivo dell’era dello Spirito Santo e la fine del
mondo. Ci sono parecchi testi tra il 1000 e il
1200 che vedevano arrivare la fine del mondo
e qualcosa la stiamo sentendo anche noi, non
proprio la fine del mondo forse.
Adesso la cosa è molto più confusa, ansiogena
e l’immagine che io vedo è che siamo su un
tapis roulant impazzito dove non stiamo più in
piedi ma scorriamo senza sapere dove stiamo
andando, perché è tutto troppo veloce. Cioè
se pensiamo alla storia, quanto sta andando
veloce? - Cioè tutto cambia nel giro di ore, non
sono più anni. La stessa cosa è l’informazione,
quando è caduta Costantinopoli, la notizia si è
diffusa nell’Occidente, nel giro di 40 anni, se
succede un macello ad Hong Gong ora, arriva
il twitt ora, e ora lo so. Probabilmente la realtà
sta andando più veloce di quanto noi siamo
in grado di reggere sia psicologicamente che
fisicamente e questo crea una nevrosi collettiva
ed oggettiva! - Troppo, troppa roba!
Però è anche molto affascinante, tutti i periodi
di grande trasformazione mi affascinano.
Mi viene in mente che nei secoli più bui del
Medioevo, i monaci benedettini trascrivevano
i testi di secoli e secoli prima, perché lo face-
vano? - Sapevano forse che dopo ci sarebbe
stato il Rinascimento? - No semplicemente lo
facevano e dopo si è riaperto il mondo e la fine
del mondo non c’è stata.
Quindi la grazia
piccole note a margine di una conversazione
perl’Appunto è le note a margine di una con-
versazione, sono gli appunti scritti a matita a
piè di pagina. Sono note personali, esclusive
e sempre segnate dall’emotività. Note fatte
di parole, quelle più sentite e proprio per
questo vere e in controluce, nitide. Arrivano
da questioni comuni questi intimi colloqui,
tanto comuni che alla fine del rigo riusciamo
ad essere uno. Qual è il tuo colore preferito?
Che cosa stai leggendo? Cosa ti meraviglia e
cosa ti rende felice? Non solo certamente, ma
anche, e qualche volta in modo particolare,
“esprimi un desiderio”. Le interviste di Itaca
sono in notturna, fatte di quelle domande
che mai ci si aspetterebbe, somministrate
alle 21.21. ad un’ora doppia come è doppio
il titolo di questa rubrica. Il processo creati-
vo che l’intervista vuole innescare è volto ad
una ricerca introspettiva che analizza l’animo
umano, le crisi e i dubbi che riguardano il
proprio ruolo e poi l’essenza. Per l’appunto, le
note a margine di Itaca, vogliono testimoniare
l’esperienza umana attraverso la registrazione
e la condivisione della storia mentre ques-
ta si manifesta. Mostrandone i paradigmi, i
modelli di riferimento, per mezzo di editoriali,
reportage e interviste a personaggi che nel
loro settore incarnano un “modello” o che
questo modello “perl’Appunto” lo mettono in
discussione. “perl’Appunto” ci ricorda da dove
veniamo, racconta che cosa siamo e proprio
grazie a questo ci aiuta a rileggere il mondo
che ci circonda trasformando, il “dove stiamo
andando”.
Le suggestioni che produce sono molteplici
e non tanto per confutare o condividere, ma
soprattutto per riflettere sulle esperienze per-
sonali e raccontarne l’anima.
perl’Appunto
interviste · perl’appunto
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