Itaca n. 15

17 C A R C E R E E S T O R I E Una casa gialla per ricominciare Le domande escono a fatica, ma a ripetizione, dal caos di sottofondo. E per essere più incisivi, nella lotta a chi deve avere più attenzione, sono accompagnate dalle mani che tirano giù le maglie, toccano le gambe. Siamo a Casa Augusto Agostini, una comunità terapeutica residenziale per mamme e bambini, aperta per non dividere i figli dalle madri tossicodipendenti. Può accogliere fino a fino a 13 donne, con o senza obblighi giudiziari. Una Casa che ha faticato a nascere e ha superato due barriere, una interna alla cooperativa: “non ci verrà nessuno, avremo poche richieste”. L’altra esterna, emblema della noncuranza del mondo: “a ’ste drogate leviamoglieli i figli”. Ma nel 1998, dopo un lungo lavoro che ha visto la completa ristrutturazione di una casa colonica, concessa dal Comune di Spinetoli in comodato gratuito, Casa Augusto Agostini era pronta per essere abitata. La Casa porta il nome di Augusto Agostini, educatore della cooperativa mancato poco tempo prima che la struttura aprisse ufficialmente. “Mamma, mamma, mamma”. A. sembra una macchinetta, chiama la mamma a ripetizione, non si ferma. Per bloccare quella cantilena simpatica e sfidante, L. alla fine lo prende in braccio. A. sorride: ha avuto quello che voleva, la sua mamma. Poi si abbandona alla dolcezza e gli affonda la testa dentro al collo. Quando A. è arrivata qui, aveva 21 anni, un neonato tra le braccia, ed era arrabbiatissima. La sostanza era l’unica cosa che la faceva stare meglio. Non capiva perché la doveva abbandonare per il figlio. Quando un bambino nasce in astinenza l’ospedale lo segnala ai servizi sociali, i servizi sociali allertano i tribunali dei minori, il tribunale - quando le condizioni lo consentono - chiede alla madre se vuole entrare in comunità con suo figlio e disintossicarsi. «L’incontro e la volontà di incontrarla, la droga», racconta Pina Sospetti, psicologa e direttrice della struttura Pina, «non sono casuali. La sostanza arriva in modo casuale, ma il bisogno che copre e fa finta di riempire una mancanza si è scavato radici profonde molto prima di diventare gesto. Negli anni abbiamo incontrato dipendenze traumatiche. Ragazze che hanno vissuto dolori infantili enormi che non hanno mai superato e che probabilmente la sostanza ha attutito. Abbiamo incontrato mancanze di tipo affettivo, storie di violenza. Non solo donne tossicodipendenti, ma proprio ragazze con una personalità dipendente. La comunità serve a ridare a queste donne fiducia in se stesse, a mostrare che c’è la possono fare anche senza sostanza». Questa è una comunità con pochi abbandoni: «I minori sono una grande forza deterrente», dice Pina. «Ma un figlio non ti ferma rispetto alla sostanza. Fanno uso di droghe in gravidanza, quindi quanto può essere potente la sostanza per queste ragazze? La maggior parte delle donne, non tutte, qui arriva con il decreto: o segui tuo figlio ed entri in struttura o lo perdi. Inizia tutto come una “costrizione”. Però poi crescono, costruiscono, diventano protagoniste della loro scelta, che in un primo momento è una scelta subita. Piano piano diventa loro. Entri per seguire tuo figlio, ma la decisione passa da tuo figlio a te. Perché il bambino non ti salverà mai per tutta la vita. Il figlio salvifico non esiste, è una spinta. Ma non basta». Casa Augusto Agostini, prima ancora di aprire ufficialmente le sue porte, ha superato due barriere, una interna alla cooperativa: “non ci verrà nessuno, avremo poche richieste”. L’altra esterna, emblema della noncuranza del mondo: “a ’ste drogate leviamoglieli i figli”. Anna Spena

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