Itaca n. 18

6 Alessandra Morelli Qualcuno sostiene che il percorso letterario di Dante Alighieri abbia preso le mosse da un sogno. A lui, poco più che diciottenne, apparve Amore, dio terribile, che teneva tra le braccia Beatrice e nel palmo della mano il cuore del poeta, rosso di sangue come una «cosa la quale ardesse tutta». Amore offre il cuore di Dante come cibo a Beatrice, che lo mangia. Quale fosse il significato di questa immagine onirica, lo avrebbe scoperto poi. Smarrito nella selva oscura dei suoi errori umani, Dante avrebbe trovato la propria salutem, «salvezza», nell’Eden della «Divina Commedia», al cospetto di quella donna-angelo che lo fa tremare e che, molti anni prima per le strade di Firenze, lo aveva salutato, guarendolo già prima di renderlo malato. Il saluto, misura di smisurata salvezza per la cristianità, viene tradotto laicamente da un gruppo di poeti, grandi amici prima ancora che letterati, che si autodefinivano stilnovisti. E Dante era uno di loro. Tutto mi salva

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