Il Monastero - Il restauro
L’ abbazia di Valledacqua fin dal nome riecheggia l’antico toponimo romano ad aquas riferito ad una statio con stabilimento termale posta lungo la Salaria, ultimo luogo di sosta, secondo l’antico itinerario della Tabula Peutigeriana , nell’attraversamento dell’appennino prima di giungere ad Ascoli. In effetti la critica storico archeologica moderna ha ricondotto il toponimo romano alla vicina frazione di S. Maria piuttosto che al più distante centro moderno di Acquasanta come voleva la tradizione locale. Là infatti si con- centrano testimonianze di edifici con pavimentazioni a mosaico e resti di piscine e cisterne più probabilmente ricon- ducibili ad un impianto termale che avrebbe utilizzato le acque sulfuree che ancora nella prima metà dell’ottocento sgorgavano tra questa località e Castel di Luco. Un tesoretto monetale di età severiana (II-III d.C.) tro- vato tra Paggese a S. Maria ci conferma poi la vitalità del sito in avanzata epoca imperiale 1 . È solo in età gota infatti che l’insediamento sembra spostarsi a Cagnano in posizione munita, in vista di possibili attacchi bizantini 2 . È attorno a S. Maria d’altronde che si concentravano anche le presenze protostoriche con le necropoli picene orienta- lizzanti ed arcaiche (VII-V a.C.) di Carpineto e Paggese che atte- stano sia la continuità insediativa del sito per almeno un millen- nio sia la vocazione eminentemente viaria di questo centro ubi- cato lungo il passaggio obbligato del medio-alto Tronto. A Paggese e Mozzano infatti la distribuzione delle cinture a placche, a rilievo e a pallottole, testimonia da un lato i rapporti univoci con il teramano costiero e dall’altro gli stretti contatti interappen- ninici con l’area sabino-capenate la cui pesante influenza cultura- le è richiamata dalle fonti storiche sulle origini dei piceni 3 . A queste più antiche fasi sembra collegato il sito stesso di Valledacqua che pur discoso dal tracciato della Salaria dominava però la direttrice tra Paggese e Arola – da cui pure proviene un corredo arcaico – ed è possibile dunque che fosse toccato dalla frequentazione protostorica. Più che dagli scarsi e non precisamente databili reperti ora recuperati in scavo, è da segnalare però il rinvenimento di un complesso vaso bron- zeo mostrato al Gabrielli – che non riuscì ad acquistarlo per la Collezione Civica di Ascoli – e, venduto a Senigallia, oggi è disperso. È questo senz’altro il più notabile rinvenimento archeologico di Valledacqua 4 . Il vaso, da lui giudicato romano ma “a decorazione arti- stica ...piuttosto singolare e dura”, venne ritrovato a poca profondità, assieme ad un vasetto d’argilla, in un fondo di I L QUADRO ARCHEOLOGICO Nora Lucentini 141
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