Lavoro e diritti in Valle d'Aosta
ISTRUZIONE Scheda di Renato Miceli «Studia altrimenti farai l'operaio!» La minaccia evocata da queste parole resta spesso oscura per il (giovane) destinatario, ma pare vivida e concreta in chi la pronuncia, sia egli (l'anziano) in quella vituperata condizione o, tramite lo studio appunto, ne sia affrancato. Perché mai dovrebbe essere così brutto fare l'operaio? Che venga esplicitata o tenuta per sé, la domanda si è affacciata alla mente di tutti (o quasi) durante la propria età giovanile. Le risposte più comuni e scontate cedono ben presto alla prova dei fatti: non tutti i lavori da operaio sono pericolosi, faticosi o logoranti; i progressi della tecnologia offrono rassicurazione e la prospettiva di guadagno immediato, quindi di autonomia, è troppo allettante per venire disattesa. Da questo punto di vista sembra impossibile riflettere sull'istruzione senza contrapporla al lavoro operaio, che in queste pagine viene celebrato, insieme alla storia di una delle sue più antiche istituzioni di rappresentanza. Soprattutto appare scontato cadere nella trappola della retorica o nelle esortazioni traboccanti di peloso buon senso ed esclusivamente votate ad un riscatto o all'affrancamento individuale. Tuttavia, qualche spiraglio per ragionare sulla relazione fra istruzione e lavoro operaio può essere reperito attingendo sia dalle storie individuali, sia dall'esperienza del movimento operaio. Sul piano individuale registro e condivido la risposta che Massimo Grammellini, nella rubrica "cuori allo specchio" del settimanale di attualità abbinato al quotidiano "La Stampa" del 4 giugno 2005, fornisce ad una impiegata trentenne, separata con una figlia, che scrive per segnalare il disagio «... di vivere con l'angoscia di non arrivare a fine mese ... perché col mio stipendio da favola, mille euro al mese, pago a malapena il mutuo, le bollette, la spesa alimentare, ...». Dopo aver sottolineato la sorpresa «... beato il tempo in cui alla posta del cuore scrivevano soltanto i fidanzati in crisi e i coniugi traditi ...» e aver riconosciuto il fatto che, di questi tempi, anche gli impiegati possono «... scivolare alle soglie della povertà, nonostante un lavoro fisso ...», il giornalista risponde con queste parole: «Che possiamo fare, oltre a lamentarci e a covare rancore? Soltanto tre cose, temo: studiare, studiare, studiare». Per non lasciarsi andare, suggerisce il giornalista, per competere nel mondo aggiornandosi di continuo e per proteggersi dal "rimbecillimento collettivo" cui rischiamo di soccombere. Concordo con la risposta fornita dal giornalista sia perché sul piano individuale non penso si possa suggerire altro, sia perché non spetta alla "posta del cuore" ricordare che i lavoratori ottengono migliori condizioni solo quando si organizzano collettivamente e lottano per i loro diritti (fra cui un salario decente). In particolare, però, la mia attenzione è stata catturata dal secondo motivo che sorregge l'esortazione allo studio. Scrive ancora lo stesso Gramellini: «Per sopravvivere nel mondo nuovo, i vecchi lavori e le vecchie conoscenze non bastano più. Bisogna aggiornarsi e cambiare di continuo». Ecco, mi sono detto, illustrata in modo elegante e sintetico, l'idea dello studio che, da tempo, ispira le più o meno radicali riforme cui è sottoposta la scuola pubblica in Italia. Ma è questo che si intende quando si pensa all'istruzione? E' questo l'impegno che proponiamo ai giovani quando li esortiamo a studiare? L'istruzione è forse una giustapposizione di nuove a vecchie conoscenze, un elenco di nozioni da aggiornare e rinnovare sempre più spesso, come i capi di abbigliamento, gli elettrodomestici di casa o l'elaboratore elettronico con cui sto scrivendo queste righe? No, quest'idea di istruzione non mi trova d'accordo; così intesa l'istruzione è un ulteriore fattore di schiavitù, non di riscatto e di libertà. Un altro "bene" di consumo effimero e spesso inutile come molti altri. Dopo aver "studiato" per imparare ad usare il nuovo software per scrivere o per far di conto, dopo aver sostituito le precedenti nozioni con le nuove, ora che so utilizzare i vocaboli inglesi al posto di quelli italiani, non sono più istruito; sono, questo sì, più dipendente, sono più schiavo (quantomeno da e di quello specifico strumento); posso vantare qualsiasi titolo di studio, posso svolgere il mio lavoro in un ambiente confortevole, davanti ad una 72 ]
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