Lavoro e diritti in Valle d'Aosta
LINGUE, SOCIETÀ E LAVORO IN VALLE D’AOSTA Tullio Omezzoli Questo soggetto è abbastanza trascurato. La lunga battaglia delle lingue in Valle d’Aosta, che ha quasi due secoli e che non è ancora finita, forse non ha investito direttamente il mondo del lavoro; o, piuttosto, la ricerca non ha ancora preso di petto questo problema. Se si considera che passioni, pregiudizi ideologici e interessi hanno sempre interferito sia nella pratica linguistica sia nella ricerca, non ci si deve stupire se circolano molti equivoci e se l’indagine presenta vistosi buchi. Tutti quelli, e sono veramente tanti, che hanno meditato o scritto sulla questione delle lingue valdostane, hanno privilegiato alcuni aspetti – in particolare la più che secolare resistenza dei Valdostani contro il tentativo dell’Italia di cancellare l’identità linguistica della Valle d’Aosta –. Ora, già il buon senso suggerisce che questo schema è riduttivo: quando si presenta un fenomeno, come la coabitazione più o meno litigiosa su un dato territorio di diverse lingue, dotate di maggiore o minore forza e appoggi, non troviamo mai una reazione unanime: di solito i più non reagiscono affatto, ma seguono con convinzione o con riserve la corrente; le élite prendono posizione, talvolta in maniera unanime ma all’apparenza, perché le élite sono sempre divise, e non necessariamente per interessi materiali, ma anche per diversità di fini spirituali o di vedute politiche; in Valle d’Aosta le élite che si contendevano la rappresentanza della popolazione hanno seguito vie diverse tra di loro e nel tempo; ci sono state piccole e grandi svolte; non si può parlare di “Valdostani” che si oppongono come un monolito all’italianizzazione della Valle d’Aosta. Anche perché la popolazione cambia, si arricchisce di abitanti o si impoverisce, o si arricchisce e impoverisce contemporaneamente, nel senso che quanti escono altrettanti entrano, come vedremo più avanti. Credo che il cambiamento della popolazione sia stato, insieme con i profondi rivolgimenti economici e demografici causati dall’Unità italiana, il primo motore delle trasformazioni linguistiche in Valle d’Aosta. L’azione dello Stato, per quanto non trascurabile, non mi sembra sia stata determinante. Più che esecrare lo Stato per quello che ha fatto io mi rammarico profondamente, come cittadino di questo paese, per quello che non ha fatto, e che poteva fare col vantaggio di tutti: prendere a cuore la differenza linguistica valdostana, farne un patrimonio nazionale. Di fatto non so dire, dopo molte riflessioni, cosa un potere pubblico possa fare di risolutivo a favore o contro; salvo, naturalmente, trapiantare le popolazioni, come si è fatto da qualche parte, ma non in Italia. Certo il fascismo ha avuto la mano pesante, ha tolto le scritte in francese, ha italianizzato la scuola, gli uffici… Ma i guasti di questi provvedimenti credo che siano stati più o meno grandi quanto i benefici scaturiti dai provvedimenti contrari presi dopo la caduta del fascismo. Ho il sospetto che abbiano avuto più peso i fenomeni “naturali”, i cambiamenti linguistici dovuti agli incontri tra soggetti di lingua diversa, e soprattutto all’esposizione della popolazione locale alla lingua maggioritaria nella nazione. Quest’ultimo è un fatto abbastanza ovvio: già prima dell’Unità i Valdostani, sudditi francofoni di un regno bilingue, erano raggiunti da messaggi, magari di importanza vitale per loro, parlati e scritti in una lingua diversa dal francese; dopo il 1861 non si è più trattato di casi singoli, ma di una vera alluvione; né si può immaginare come potesse essere diversamente; né i Valdostani (o chi parlava a loro nome) hanno concepito l’idea, all’epoca, di chiudere la porta alla lingua italiana. Il punto non era se diventare o no italofoni, ma in che misura mantenere il francese a pieno titolo accanto all’italiano. Gli argomenti a favore del bilinguismo perfetto, magari con un occhio di riguardo per il francese, erano molti: religiosi (per strano che possa oggi sembrare), intellettuali, sentimentali, ma soprattutto economici. Il francese era per gli abitanti della Valle d’Aosta un gagne-pain, un credito spendibile nel mercato del lavoro: il francese, lingua universale quale era nell’800 (ma ancora fino alla metà del secolo successivo), apriva ai Valdostani professioni intellettuali su una scala più ampia di quella nazionale, favoriva il turismo 68 ]
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