Lavoro e diritti in Valle d'Aosta

LAVORO E MUTAMENTI DEMOGRAFICI (1911-1951) Luigi Giunta - Angelo Quarello In ogni società, ed in qualunque periodo essa si verifichi, la modernizzazione del tessuto economico - le cui tappe fondamentali e distintive sono la fine dell’agricoltura tradizionale quale settore produttivo principale (presupposto indispensabile per la creazione di un esercito di manodopera di riserva per la nuova agricoltura capitalistica o per la nascente industria), l’industrializzazione e la costruzione delle grandi infrastrutture ad essa collegate - sconvolge le caratteristiche tradizionali della società che la subisce sia sul piano demografico, attraverso una redistribuzione geografica della popolazione, sia per quanto attiene alla struttura di classe. La Valle d’Aosta, che vive questa transizione tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, non poteva certo restare immune dagli effetti delle trasformazioni del tessuto sociale di cui si diceva, tuttavia nella nostra regione la società subisce mutamenti assai radicali e assume alcune caratteristiche non presenti in altri contesti. Le trasformazioni profonde prodottesi in quei decenni costituiscono i presupposti che hanno portato agli attuali assetti demografici e sociali, inoltre ci permettono di comprendere perché molti di noi vivono qui e non in qualche altra regione d’Italia dove sono nati i nostri nonni o i nostri padri ed i motivi per cui altre persone discendenti da famiglie originarie della Valle vanno a lavorare prendendo quotidianamente il metrò nella banlieue di Parigi o vedono ogni giorno il mare di fronte a Marsiglia. Ad un primo e superficiale sguardo, i dati generali della popolazione, come risultano dai Censimenti che vanno dal 1911 al 1936, sembrano indicare che in Valle d’Aosta succeda ben poco, almeno sul piano demografico: 81.457 individui nel 1911, 83.251 nel 1921, 83.479 nel 1931, 83.455 nel 1936. Si è dunque in presenza di un leggero incremento che consente di recuperare in parte quanto perso nel primo decennio del secolo - 84.165 unità nel 1901 - ma non ancora di raggiungere gli 85.900 abitanti che avevano visto nel 1861 realizzarsi l’Unità d’Italia. Sarebbe agevole spiegare tale modesto aumento della popolazione con il saldo naturale (la differenza tra il numero dei nati e quello dei morti) che risulta positivo di 4 o 5 unità annue ogni mille abitanti. Invece, sotto quell’apparente tranquillità della superficie del lago rappresentato dall’umanità che risiede in Valle, si snodano tante vicende, si intrecciano migliaia di storie di vita che modificano profondamente la struttura della popolazione in conseguenza di due realtà in atto e tra loro contrapposte: l’emigrazione e l’immigrazione. La prima anomalia valdostana sta nel fatto che questi due fenomeni, sempre presenti nella storia dell’umanità, avvengano contemporaneamente e durino per diversi decenni, insistendo su uno stesso territorio. L’industrializzazione arriva in un momento in cui la Valle è in grave crisi: la popolazione (censimento del 1911) è ridotta a 81.457 unità, nel solo decennio precedente ha perso 2.708 individui, nonostante le famiglie numerose non manchino e le nascite superino ampiamente il numero dei decessi. Il fenomeno del decremento demografico è ancora molto lontano dal realizzarsi, anzi avviene l’esatto contrario, eppure la popolazione diminuisce. A spiegare il fenomeno è la presenza costante dell’emigrazione che da tradizionalmente stagionale diventa spesso definitiva poiché la crisi dell’agricoltura, causa principale che la determina, ha assunto caratteristiche e raggiunto livelli tali da lasciare a parecchie famiglie poca speranza di poter continuare a trarre dalla terra quanto è necessario per la propria sopravvivenza. Fino all'inizio del Novecento, l'agricoltura occupava in Valle d'Aosta il 90% della popolazione essendo in pratica l'unica fonte di reddito. La struttura agricola predominante era costituita dalla piccola proprietà contadina a conduzione familiare: nel 1929 il 79,1% degli addetti all'agricoltura era costituito da proprietari che coltivavano in proprio l'82,9% della superficie agricola, 62 ]

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