Lavoro e diritti in Valle d'Aosta

Le condizioni all'interno della fabbrica migliorarono sensibilmente, secondo la testimonianza di G.A. (Stella al Merito del Lavoro) dopo l'entrata in vigore dello Statuto dei Lavoratori. Le donne intervistate sono consapevoli dello sfruttamento cui furono sottoposte, infatti i salari pagati a Châtillon - dicono - erano inferiori a quelli percepiti a Ivrea e Vercelli) ma sono anche concordi nel riconoscere che “ci sono diritti e doveri” ineludibili sul lavoro, anche se il bisogno costringeva ad accettare turni pesanti (40 e anche 48 ore settimanali) e violazioni o assenza di norme di tutela. Non c'erano peraltro né indulgenza né comprensione per l'inesperienza, sia pure quella delle ragazzine più giovani. Le testimonianze non concordano invece nel ricordare forme di solidarietà generalizzate fra le operaie: qualche intervistata parla della fabbrica come di “scuola di grossolanità”, nella quale bisognava " imparare a farsi rispettare", e altre di “ruffianesimo”, di gelosia e discriminazioni nel reclutamento, soprattutto dopo la guerra, e anche di preferenze dei capireparto per “le ragazze più belle”. Si esprime anche qualche diffidenza per gli scioperi “politici”, mentre c'è aperta critica per il ruolo giocato dall'Amministrazione regionale quando si profilò la minaccia, poi concretizzatasi effettivamente, della chiusura dello stabilimento nel 1982. Di tono e contenuto diverso risulta infine l'unica intervista disponibile ad un' impiegata. La signora G.A. originaria della Brianza, figlia di un “ispettore nelle fabbriche di rayon” che si trasferì con la famiglia in Valle nel 1940 per sfuggire ai pericoli della guerra, lavorò alla Soie dal 1940 al 1971. Benchè “maestra, ma amante della contabilità” fu assunta a Milano come aiuto- segretaria nel novembre del 1940, con uno stipendio lordo di 450 lire mensili, mentre le colleghe ne guadagnavano 380. L'intervistata precisa di “non aver mai fatto la fame”, nonostante la famiglia fosse numerosa, e di aver potuto risparmiare, ma ricorda anche che lo stipendio più alto le creò “un po’ di invidia” fra i colleghi. Dopo la guerra - dice - si registrarono cambiamenti significativi a causa dei quali vecchi operai e dirigenti dello stabilimento dovettero “stare sotto” i giovani. Ma, oltre ad aver svolto molte mansioni d'ufficio nel corso dei trent'anni di permanenza nello stabilimento, la signora ricorda anche un tentativo, evidentemente riuscito, di spezzare uno sciopero utilizzando personale impiegatizio. Infatti, “quella volta che gli operai hanno fatto sciopero, tutti gli impiegati sono andati a sostituirli, facendo quello che potevano avendo anche un'infarinatura (del lavoro)...” . Si proseguì per 15 giorni allo scopo di non fermare il ciclo lavorativo. A giudizio di questa ex impiegata anche gli operai avrebbero poi ammesso: “quello che credevano d'aver fatto per loro interesse era il loro danno” in quanto l'arresto delle macchine avrebbe comportato una fermata del ciclo produttivo di sei mesi! Anche se impiegata in un settore “pulito”, come quello degli uffici, l'intervistata ricorda i rischi della lavorazione sopportati dagli operai: ambienti umidi, vapori diversi ecc. che costringevano a brevi soste perché ci si riprendesse da malesseri vari e si tornasse subito alla produzione. L'introduzione di macchinari più moderni servì a migliorare le condizioni di lavoro nei vari reparti, ma comportò anche contrazione di posti. Anche questa testimonianza non manca di ricordare, idealizzandola forse un po’ troppo rispetto a quelle rilasciate dalle operaie, la semplicità della vita di un tempo, la capacità delle persone di “accontentarsi”, la risposta sicura ad esigenze di svago che una società molto meno complessa dell'attuale cominciava a creare e permetteva di soddisfare, ad esempio nell'ambito del “Dopolavoro”. La nostra sintesi è forzatamente ridotta – lo abbiamo detto in apertura - alle testimonianze disponibili. Sono passati ormai più di trent'anni dalla scomparsa del Cotonificio Brambilla e della Soie, gli edifici non esistono più o sono stati radicalmente trasformati e diversamente utilizzati: temiamo che la maggior parte delle donne che vi hanno lavorato, trascorrendovi non solo la gioventù ma anche la maggior parte della loro esistenza, non siano più in vita e o siano talmente anziane da rendere impossibile la raccolta dei loro ricordi. L’auspicio è che altre iniziative di ricerca possano raccogliere e conservare la memoria di questi soggetti più deboli e sfruttati del mondo del lavoro. [ 61

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