Lavoro e diritti in Valle d'Aosta
concludeva con queste affermazioni: «la realtà valdostana dimostra come la fascia marginale [della classe operaia] ... determini una situazione di debolezza "strutturale" dell'occupazione [...]. Paradossalmente avviene che i costi dello sviluppo vengono pagati principalmente dalle quote estreme ("forte" e "marginale") della classe operaia» 8 . A sottolineare il peso, in termini politici e sociali, di quella osservazione tecnica, il testo proseguiva ricordando che «l'aggregazione in termini politici della classe operaia (tra occupati e disoccupati, tra occupati nei grandi complessi industriali e lavoratori delle piccole aziende) diventa sempre più un elemento decisivo all'interno dello scontro sociale in atto [...]» 9 . Le ultime righe del testo erano poi dedicate ad una sorta di appello affinché si approfondisse ulteriormente lo studio sul ruolo che ogni componente della classe operaia assume all'interno del processo produttivo e sociale. Anche osservando il panorama italiano, non solo quello valdostano, poche o molto inadeguate furono le energie messe a disposizione per approfondire gli studi; ma ciò non è rilevante quanto l'esito di quello "scontro sociale" allora in atto. Quel risultato, infausto per la classe operaia, cui ha contribuito anche in una certa misura la sottovalutazione delle linee di frattura interne, è ora sotto gli occhi di tutti; la diffusione del lavoro nero, Co.Co.Co., contratti a termine, lavoro interinale, limitazioni dell'accesso alla pensione, incertezze sul T.F.R ., etc. sono alcuni degli elementi che ci ricordano quanto oggi le condizioni del mondo del lavoro siano peggiori di ieri. Più incertezza, più precariato, meno diritti fanno da sfondo ad una ulteriore segmentazione, forse una vera e propria frantumazione, della classe operaia su cui sarebbe ora di ritornare a studiare con lo scopo di trovare le ragioni e le forze per un riscatto. Il terzo aspetto, su cui l'opera di Ossowski invita a riflettere, riguarda il fatto che l'analisi minuziosa e spregiudicata del concetto di classe conduce a mostrare, come ha sostenuto S. M. Lipset, 10 «le diverse vie per cui l'uomo ha trattato, sul piano intellettuale, con l'ineguaglianza sociale». Cancellare dall'uso il concetto di classe sociale, non solo evoca visioni della società poco utili per contribuire alla sua evoluzione (come quelle funzionaliste di cui si è detto), non solo priva chiunque di uno strumento efficace per "leggere" e interpretare i fatti sociali (anche in chiave storica), ma - soprattutto - distoglie il pensiero e quindi l'azione dalle ineguaglienze. Su questo punto, è ovvio, il discorso diventa necessariamente ideologico. Anche se alcuni le vorrebbero definitivamente scomparse, vi sono ideologie che pongono il perseguimento dell'uguaglianza al primo posto, altre che derubricano l'uguaglianza in posizioni meno vistose privilegiando aspetti diversi, altre ideologie ancora che approvano e perseguono le ineguaglianze. Le ideologie, si sa, un pò come le dottrine forniscono una chiave di lettura, una "lente", con la quale osservare il mondo in cui si vive e, naturalmente, non può esservi alcuna costrizione ad adottare questa o quella. Così, nel rispetto delle scelte di ciascuno, si può solo segnalare come curiosità il fatto che le classi sociali vengano (ri)scoperte in una società e in una cultura come quella statunitense che ha sempre fatto di tutto per negare la loro esistenza. La fonte originale è il New York Times, quotidiano non certo sospetto di aderire a ideologie troppo egualitarie; la notizia segnala, da un lato la serietà professionale della testata, dall'altro - forse - il riemergere (almeno, per ora, oltre Atlantico) del concetto di classi sociali. Traggo la notizia da un articolo di Bruno Cartosio su "il Manifesto" del 26 maggio 2005, di cui riporto uno stralcio che, mi pare, possa adeguatamente concludere queste mie riflessioni. «Le classi sono fattori pesanti nella società statunitense odierna: a questa stupefacente conclusione è arrivato il New York Times, che sull'argomento ha aperto un'inchiesta in varie puntate. "Negli ultimi trent'anni", scrive il giornale, "il peso (dell'appartenenza di classe) ha continuato ad aumentare, invece di diminuire". La mobilità sociale - la possibilità di diventare ricchi essendo nati poveri o anche solo di migliorare la propria condizione - che era stata il sogno americano di milioni di individui si è progressivamente ridotta negli ultimi trent'anni e i figli condividono sempre di più la condizione sociale dei genitori. La cosa forse più interessante dell'inchiesta del Times è il suo candore». 58 ] 7) R. Miceli, 1981, Classi sociali e occupazione in Valle d’Aosta , Istituto storico della Resistenza in Valle d’Aosta 8) Op. cit., pag. 66. 9) Op. cit., pag. 66. 10) Il riferimento a Lipset è riportato nella «Nota dell’editore» alla traduzione italiana dell’opera citata di Ossowski.
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