Lavoro e diritti in Valle d'Aosta
CLASSI SOCIALI Scheda di Renato Miceli L'uso di alcuni termini, e conseguentemente i concetti che questi designano, è inevitabilmente sottoposto al logorio del tempo; così per esempio ai nostri giorni, è assai raro incontrare qualcuno che sappia cosa significhi e usi la parola "abaco". Questa naturale tendenza dei vocaboli a seguire i tempi o le mode non riguarda soltanto i termini che designano oggetti concreti, ma - in maniera più sospetta - sembra potersi applicare anche a parole o locuzioni che rimandano a concetti astratti. Negli ultimi tempi, per esempio, è sostanzialmente scomparsa dal linguaggio comune, così come dai mezzi di comunicazione di massa, l'espressione "classi sociali", nonostante - in particolare a cavallo fra gli anni '60 e '70 del secolo scorso - si sia fatto un gran parlare di "struttura di classe", "lotta di classe", "classe dei proletari e borghesia", etc. e ciò sia avvenuto non esclusivamente in ristretti ambienti di studio o in saggi sociologici, economici, storici o politici. Chi oggi riutilizza quell'espressione e rievoca, come qui si fa, il concetto e la visione dei fatti sociali a cui essa rimanda viene assai probabilmente e sbrigativamente etichettato come l'ultimo epigono di un'ideologia ormai superata che, dopo aver procurato molti danni, è stata definitivamente - e con soddisfazione - abbandonata. Qualche birichino, pensando più alle mode che alle ideologie, potrebbe anche sostenere - in questo caso forse con un pizzico di ragione - che l'astinenza dell'oggi sia da imputare all'abuso di ieri; ma a ben vedere c'é dell'altro. Innanzitutto un'ovvia constatazione che segue direttamente l'esempio di poc'anzi: nella lingua, parlata e scritta, la frequenza d'uso di vocaboli, espressioni o modi di dire diminuisce quando viene a mancare l'utilità degli oggetti o dei concetti che evocano. Sembra inevitabile dedurre da ciò che il termine"classe sociale", se mai ha indicato qualcosa di utile, oggi è inesorabilmente superato, privo di efficacia, proprio come l'abaco. Altrettanto logicamente sembra poi scaturire da ciò l'opportunità di pensare alla società in cui viviamo come un tutt'uno (se qualcuno fosse tormentato dal dubbio ascolti le innumerevoli esortazioni del tipo: "siamo tutti sulla stessa barca!"). Anzi, a ben vedere, sembra proprio "naturale" (sic!) pensare che la nostra società sia paragonabile ad un organismo, nel cui ambito - certo - si possono riconoscere parti e ruoli differenti, come sulla famosa barca (quelli che comandano stando al timone e - ahimé - quelli che remano). Analogie come questa, o innumerevoli sue varianti, sono concettualmente molto semplici; possono facilmente colpire l'immaginazione e diffondersi unitamente allo scopo recondito che le accompagna: quello di allontanare l'idea (perversa secondo alcuni) che nella società in cui si vive possano essere presenti segmenti, strati o gruppi di persone che, nutrendo interessi contrapposti, siano identificabili come classi in conflitto. La cura e la solerzia con cui - nel volgere di pochi anni - tanti (anche in ambienti politicamente e socialmente impegnati) si sono liberati dall'uso e dal concetto di "classe sociale" ha fornito terreno fertile alla diffusione di concezioni "non-conflittuali" della società, modi che conducono a pensare all'organizzazione sociale in termini di armonia funzionale; concezioni e modi di pensare che, generalmente, vengono anche sapientemente e sottilmente alimentati nelle comunicazioni di massa. Torna così alla mente il lavoro - che qui verrà utilizzato come traccia per ulteriori riflessioni - di un grande studioso polacco, Stanislaw Ossowski, scomparso nel 1963 a Varsavia, dove poteva insegnare grazie al suo prestigio scientifico, nonostante fosse piuttosto inviso 56 ] 1) Dal 1952 al 1956, in Polonia, fu soppresso l’insegnamento della sociologia e Ossowski fu privato della cattedra universitaria. Un’idea della spregiudicatezza e del non conformi- smo intellettuale che caratterizzavano lo studioso può essere ricavata da questa afferma- zione che, riportata nella nota dell’editore alla traduzione italiana dell’opera in seguito citata, viene a lui attribuita: «il fatto che un uomo sia uno studioso non lo rende libero dalla disciplina della sua professione, né dal dovere di obbedire come cittadino. Tuttavia, in alcune circostanze, proprio la disciplina professionale gli impone la disobbidienza.» (S. Ossowski, 1973, Struktura Klasowa w Spolecznej Swiadomosci , Zaklad Narodowy im. Ossolinskich, Wroclaw; trad. it: 1966, Ossowski, Struttura di classe e coscienza sociale, Torino, Einaudi. Renato Miceli, docente di Psicometria presso l’Università degli Studi di Torino, Facoltà di Psicologia.
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