Lavoro e diritti in Valle d'Aosta

e facoltà di ricrearsi durante e dopo la crisi. Negli stessi anni, del resto, la riunificazione delle forze autonomiste all’insegna del “maîtres chez nous” si afferma in concomitanza con una crescente dipendenza economica e finanziaria della regione dallo stato italiano (Lévêque, 1992, 1995). Cambiando i tempi e i modi della produzione e del consumo, mutano anche le forme di esercizio del potere costituito: se in anni di regime fordista-keynesiano il contrasto politico-istituzionale tra stato e regione e i tagli finanziari avevano garantito la soggezione della frontiera valdostana, nell’era post- industriale la contrapposizione diventa più che altro retorica e funzionale a un controllo che si esercita, in forme anche più efficaci, attraverso la circolazione della ricchezza. Nel quadro globale di una transizione delle economie di mercato a un regime di “accumulazione flessibile” (Harvey, 1993), infatti, anche in Valle il ridimensionamento della produzione reale è accompagnato da una crescita senza precedenti dei flussi finanziari. La condizione frontaliera conferisce, anche in questa occasione, una caratterizzazione essenzialmente geopolitica al fenomeno, che si concretizza quasi interamente nella distribuzione del nuovo riparto fiscale pattuito con lo Stato. Indispensabile al nuovo regime di regolazione della comunità valdostana è, a differenza di prima, la presenza di un esecutivo regionale “forte”, quasi a sostituire la Cogne nel compito di controllo sociale assegnatole nel dopoguerra. Da un lato, la drastica riduzione degli occupati industriali è compensata da un rafforzamento quasi automatico dell’apparato burocratico regionale (da 437 a circa 2.400 dipendenti diretti tra il 1973 e il 1995). Dall’altro, la perdita di peso dell’industria nella creazione del valore aggiunto locale conduce la Regione ad assumere il ruolo di primo imprenditore della Valle. Mentre, tra il 1981 e il 1991, l’incidenza della spesa pubblica regionale passa dal 15% al 64% degli investimenti fissi lordi e dal 17% al 50% del prodotto interno della Valle, quest’ultimo cresce a un tasso medio annuo dell’1,8%, inferiore al 2,4% registrato nella media nazionale e appena sufficiente a garantire una situazione non recessiva dell’economia locale. Il fallimento dell’autonomia “regionecentrica˝ nel recente ventennio ben rappresenta l’epilogo di una storia ultrasecolare di mancata emancipazione della comunità valdostana, nel contesto di un’era geopolitica certamente avversa, e porta in superficie le contraddizioni di una modernizzazione in fin dei conti mai governata localmente, ma sostanzialmente subita in difesa di un’identità idealizzata più che costruita. Se i valori culturali difficilmente possono andare perduti nell’operosità e nella costruzione condivisa del bene comune, sembra invece che le remore identitarie, autentiche o interessate, abbiano nel tempo contribuito soprattutto a limitare lo sviluppo locale in Valle d’Aosta. La prospettiva europea La caduta delle barriere doganali alle frontiere intracomunitarie dell’Europa, in vigore dal 1993, ha avuto come primo effetto sulla Valle d’Aosta la restrizione di oltre un terzo delle entrate nel bilancio regionale (in parte attenuata grazie al “trasferimento sostitutivo” concesso dallo stato). In relazione al processo d’integrazione europea si è nel frattempo avviata, in Italia come in altri paesi, la ridefinizione costituzionale della forma statuale. Malgrado le fisiologiche difficoltà del progetto costituente europeo, “coesione territoriale” e “sussidiarietà” sono i fondamentali principi comunitari assunti per sopravvivere e fare fronte alla travolgente globalizzazione dei mercati (Janin Rivolin, 2004). In breve, l’integrazione europea pone per tutti nuove regole e, per i territori di frontiera, attenzioni e opportunità inimmaginabili solo pochi anni prima. Promossa in special modo attraverso gli strumenti della “cooperazione territoriale”, la politica transfrontaliera della UE si fonda sul dichiarato riconoscimento delle particolari difficoltà di sviluppo nei territori sfavoriti dal quadro geopolitico consolidato, che perciò si incoraggiano a inventarsi nuovi ruoli nel contesto del mercato unico. L’esigenza comunitaria di creare nuove economie transfrontaliere costituisce per la comunità valdostana un’occasione straordinaria, la cui portata complessiva deve considerarsi superiore persino all’apertura dei trafori internazionali a metà degli anni ’60: a 150 anni dall’unificazione nazionale potrebbe significare, a ben guardare, l’innesco di una nuova rivoluzione geopolitica. Se si coglie la rilevanza del processo in atto, appare chiaro che gli attuali condizionamenti per la Valle non derivano tanto dalla perdita dei privilegi finanziari o dal permanere delle costrizioni istituzionali, quanto dai ritardi strutturali accumulati (la ferrovia!) e dai vincoli materiali all’apertura transfrontaliera (in primis il pedaggio ai trafori). I programmi comunitari impostati in questi anni con la Savoia e con il Vallese, oltre che con il Canavese, se da un lato mettono in luce l’impegno tecnico profuso per individuare i nodi nevralgici del declino locale, d’altro canto denunciano la mancanza di obiettivi che non siano [ 53

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