Lavoro e diritti in Valle d'Aosta
un’incidenza del settore pari al 59% del Pil regionale), avviata a sforare il tetto dei 100.000 abitanti (94.140 nel 1951, 100.959 nel 1961) e priva di un prefetto di nomina governativa, la Nazionale Cogne, la cui direzione è affidata nel tempo a senatori democristiani (Guglielmone, 1948- 1953), direttori del demanio (Crudele, 1953-1955) e persino generali dell’esercito (Marazzani, 1955-1961), finisce per ricoprire anzitutto un ruolo di controllo sociale della “insicura” frontiera valdostana da parte dello stato, con perfetto stile centrista in anni di guerra fredda (non si dimentichi che fin dal 1946 Aosta è amministrata da un sindaco comunista). I licenziamenti mirati e i “reparti zero”, in cui vengono emarginati alla Cogne i lavoratori “meno disciplinati” (fece scalpore l’episodio ai danni dei consiglieri Manganoni, Monami e Savioz e del sindacalista Michelini durante le elezioni politiche del 1958) non sono che la forma palese di una soggezione esercitata, in modo meno evidente ma altrettanto sistematico da altri organismi dello stato, attraverso le restrizioni finanziarie e il progressivo indebolimento delle prerogative statutarie (legge sull’ordinamento tributario del 1955, istituzione dell’Enel nel 1962, sentenze della Corte costituzionale contro la dichiarazione di “bellezza naturale di pubblico interesse” del territorio regionale nel 1962 e sulla necessità delle norme di attuazione per lo Statuto nel 1963). All’inizio degli anni ’60 la Cogne, che occupa oltre il 15% della popolazione attiva in Valle e da sola produce circa il 40% del valore aggiunto regionale (mentre l’Ilssa-Viola di Pont-Saint-Martin impiega circa 1.130 lavoratori), è posta di fronte a un bivio decisivo per il futuro proprio e dell’intera regione. Mentre servirebbe un programma di rilancio volto a radicare sul territorio i benefici economici della siderurgia locale dando finalmente impulso all’indotto, le ambizioni personalistiche di Mario Einaudi, amministratore unico e direttore generale dell’azienda dal 1965 (poi spalleggiato dall’intrigante Franco Froio, presidente dal 1967), da un lato, e l’incapacità della classe politica locale di coglierne la deleteria insensatezza, dall’altro, innescano la fine delle speranze industriali valdostane (Janin Rivolin, 2002). Più in generale, le scelte di quegli anni appaiono orientate, in modi più o meno consapevoli, ad affermare una separazione dei destini regionali da quelli della Cogne e dello sviluppo industriale. Tale distacco rivela come, anche nei momenti di più acuta sensibilità amministrativa (è al governo la “giunta del Leone”), l’azione pubblica locale stenti a liberarsi da vincoli emozionali difficilmente comprensibili sul piano della razionalità politica. Sono, del resto, anche gli anni della "crisi del fil di ferro" (1966), che segna il culmine del turbamento delle istituzioni democratiche in Valle d’Aosta imprimendo un andamento schizofrenico alla politica regionale per almeno un decennio. Tardiva e soprattutto priva della condivisione necessaria risulta, pertanto, l’iniziativa della commissione consiliare sulla "situazione produttiva della Cogne" voluta da Tonino, Germano, Dolchi e Caveri nel 1968 (RAVA, 1971). La vergognosa vicenda dell’Egam, al cui interno la Cogne di Einaudi e Froio assume il ruolo di capofila finanziario nel 1971, così fungendo da vittima sacrificale di un’operazione volta a divorare 1.250 miliardi di denaro pubblico in pochi anni (contribuendo, tra l’altro, al “risanamento” della Montedison di Cefis), dà il colpo di grazia all’immagine dell’azienda e al futuro industriale valdostano (RAVA, 1977). La chiusura delle miniere di Cogne nel 1979 sancisce anche simbolicamente il triste epilogo di una gloriosa esperienza industriale, territoriale e umana, il cui valore reale e potenziale non è stato forse mai compreso fino in fondo dai suoi custodi naturali. Negli anni successivi, l’azienda (Deltacogne dal 1987 e Ilva dal 1989) si conforma con obbedienza a una politica nazionale e comunitaria di ridimensionamento che comporta un calo produttivo di circa 50.000 tonnellate annue di acciaio e la progressiva riduzione del personale fino a poco più di 2.000 occupati. Altri 1.600 impieghi si perdono sul territorio valdostano con la chiusura di Inteva nel 1982, Montefibre e Fortuna West nel 1983, Siv e Alluver nel 1984, Cis, Cast e Honeconf nel 1985, Honestamp, Maxel e Ilssa-Viola nel 1986, Morgexcarbo nel 1988. In tale contesto, un processo di rapida rimozione collettiva, peraltro agevolato dalla forza immaginifica di opere come Tradition et renouveau (Janin, 1968), porta a riscoprire la “vocazione turistica” del territorio valdostano. Il Piano regolatore della conca di Pila, direttamente approvato con legge regionale al volgere degli anni ’60 e realizzato in pochi anni (non senza episodi di corruzione), diventa di fatto il nuovo modello di sviluppo che si sceglie di imprimere alla Valle d’Aosta in anni di crisi e in assenza di alcun piano regionale. Negli anni ’70, l’incremento dell’edilizia residenziale in Valle aumenta del 60% e quello delle seconde case del 140% (oltrepassando il 55% del patrimonio abitativo alla fine degli anni ’80). A conti fatti, il consolidarsi di un’immagine turistica della Valle d’Aosta finisce più che altro per suggellare la tacita accettazione locale del ruolo di dépendance stagionale per quell’Italia che ha esigenza 52 ]
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