Lavoro e diritti in Valle d'Aosta
idroelettrici, tanto che tra il 1914 e il 1925 la potenza prodotta risulterà quadruplicata: mentre la Società idroelettrica Borgofranco-Villeneuve inizia ad operare nella valle di Champorcher, la Società idroelettrica Piemonte (Sip) si sviluppa grazie alle centrali di Pont- Saint-Martin e costruisce la prima linea ad alta tensione dalla valle di Gressoney verso gli stabilimenti Breda di Sesto San Giovanni. Il sogno di ciò che la stampa locale progressista definisce con bonaria autoironia "un diamant dans la soupe de l’auvergnat" (La Doire, 3 agosto 1917) è però destinato a svanire d’improvviso nell’inverno 1921 quando, a lavori ancora in corso, l’Ansaldo è trascinata al fallimento per i pesanti immobilizzi sostenuti, non senza errori di valutazione, nel periodo bellico. Il precoce tramonto dell’avventura ansaldina, che può spiegarsi come il risultato di un liberismo industriale se non altro contraddittorio, suggerisce che nell’Italia di inizio secolo un progetto di sviluppo territoriale sul modello della Ruhr forse non avrebbe potuto realizzarsi. Comunque sia, l’intero comparto elettrico e minero-siderurgico valdostano è affidato, dietro pressioni della Fiat, alla Società anonima Ansaldo-Cogne con sede a Torino. Mentre si perfezionano gli atti societari, l’attività dell’acciaieria è sospesa per 18 mesi: prima di avere intrapreso un solo ciclo di lavorazione, lo stabilimento di Aosta vede licenziare 150 impiegati, per la maggior parte valdostani. Due giorni dopo le dimissioni dei proprietari, la Società anonima elettricità Alta Italia ottiene la concessione dell’energia elettrica prodotta dalle centrali valdostane che, da lì a due mesi, si ritrovano ad alimentare l’Ilva, la Fiat e le altre industrie dell’area torinese. Mentre il fascismo conquista il favore di gran parte degli esponenti autonomisti e del clero locale (Soave, 1995), il processo di “italianizzazione” dell’industria valdostana si completa nel 1927, con la trasformazione dell’Ansaldo- Cogne in Società anonima nazionale Cogne e l’acquisto e messa in attività delle miniere di carbone di La-Thuile. Negli anni del consenso al fascismo, in cui ogni opera di modernizzazione diventa occasione di propaganda (si pensi alla straordinaria trasformazione urbanistica di Aosta, che negli anni ’30 si trasfigura in città terziaria e borghese ancor prima di avere metabolizzato la crescita da villaggio agricolo a città industriale e operaia), l’autarchia industriale si produce in special modo all’interno della fabbrica attraverso i processi di organizzazione del lavoro (trionfa in Italia il “sistema Bédaux”). Lo sfruttamento paternalistico dei lavoratori, tipico dell’azienda di regime, si afferma anche in Valle d’Aosta coniugando l’intensificazione dei ritmi di lavoro con la creazione della scuola aziendale, i licenziamenti sbrigativi con l’assistenza per la disoccupazione invernale, la repressione violenta con la contrattazione sindacale. Il paradosso è che in Valle tutto ciò appare come facilitato da un sotteso e diffuso compiacimento per i privilegi che un’azienda di stato ben disciplinata può conseguire, pur collocandosi alla periferia dell’impero: quasi che la coscienza identitaria possa convivere con lo stato autoritario, traendo linfa dalle agevolazioni concesse a un’azienda “a statuto speciale”. D’altro canto, gli operai aostani e i minatori di Cogne offriranno un contributo decisivo alla resistenza partigiana e alla liberazione della Valle dal nazifascismo. Opportunità e limiti dell’autonomia regionale Dopo la liberazione e la costituzione repubblicana, lo Statuto di autonomia speciale che la Valle d’Aosta ottiene nel 1948 (sulla base dei decreti luogotenenziali negoziati nel 1945) costituisce una novità istituzionale di portata storica (Barbagallo, 1994). Lo statuto valdostano scaturisce da una consapevolezza non comune del ruolo destinato ai territori di frontiera nell’Europa dominata dagli stati nazionali, il cui merito deve attribuirsi in prima istanza all’impegno intellettuale e politico di Federico Chabod. Malgrado il sostanziale disinteresse dei nuovi governanti nazionali e le diffidenze locali, in varie circostanze sfociate in manifestazioni di esplicita avversione, il progetto di Chabod è di concordare con lo stato “una politica di larga libertà nelle zone di frontiera”, tale da valorizzare le “piccole patrie” e da innovare profondamente la stessa struttura nazionale in una prospettiva europeista (Luther, 1995). Si tratta di una proposta di mutua responsabilità, fondata su presupposti di libertà e di eguaglianza, che, nel farsi dettato costituzionale, conferisce dignità politica al miglior pensiero autonomista. Nondimeno, i rapporti politici tra Aosta e Roma nel resto del secolo daranno luogo a un’autonomia regionale nutrita in special modo dell’idea di un contenzioso permanente tra stato e regione, più che della comune volontà di costruire la repubblica sulla base di responsabilità reciproche. Tale prospettiva, solo in apparenza più radicale ed “epica” per il popolo valdostano, sarà pagata a caro prezzo dalla Valle nel corso dei riassestamenti geopolitici del dopoguerra (Martial, 1995). In una regione industriale (42,3% della popolazione attiva nel 1951, di cui quasi la metà dipendenti della Cogne, con [ 51
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy NTczNjg=