Lavoro e diritti in Valle d'Aosta

DAL MUTUALISMO ALLA LOTTA DI CLASSE Marco Scavino In Valle d’Aosta la crescita del movimento operaio fu a lungo rallentata e inibita da una serie di condizioni obiettivamente sfavorevoli: le dimensioni ridotte del territorio e della popolazione, il relativo isolamento e la difficoltà delle comunicazioni (i paesi della Bassa Valle, non a caso, avevano più facilità a rapportarsi con Ivrea che con il capoluogo aostano), ma soprattutto la mancanza pressoché assoluta, sino ai primi anni del Novecento, di industrie e di manifatture. Basti pensare che al censimento del 1911 le persone impiegate in attività industriali in tutta la Valle erano poco più di 2200, pari all’11,6% della popolazione attiva (la media nazionale era più che doppia): si trattava in maggioranza di minatori, sparsi tra le miniere di Ollomont, Bionaz, Champdepraz, mentre gli operai di fabbrica erano concentrati soprattutto tra Hône, Verrès e Pont-Saint-Martin; nella zona più vicina ad Aosta l’unico stabilimento industriale era quello di Saint-Marcel, attivato da circa un decennio, che produceva carburo di calcio e occupava un centinaio di persone. Analogamente a quanto accadde in tante altre realtà dell’arco alpino, caratterizzate da un’economia in massima parte agricola (e di piccola proprietà contadina), le prime forme di associazionismo “operaio”, nate nell’ultimo quarto dell’Ottocento con le società di mutuo soccorso, furono pertanto esperienze molto fragili, limitate ad alcuni, circoscritti ambienti di artigiani (soprattutto fabbri e falegnami), di muratori, di lavoratori manuali generici, concentrati quasi esclusivamente ad Aosta e nei centri più popolati. Esperienze costrette a muoversi in un ambiente largamente refrattario (sotto l’aspetto politico e culturale) ai valori della modernità e della rappresentanza collettiva degli interessi, e che non ebbero modo (a quanto è dato saperne, sulla base degli scarsissimi elementi disponibili) di vivere quelle divisioni interne e quei contrasti, attorno ai temi della lotta di classe, degli scioperi, della “resistenza” al lavoro salariato, esistenti invece nei centri più industrializzati. Ad Aosta, in altri termini, mancava (o era comunque troppo debole) una conflittualità sociale, tale da portare a una lenta e progressiva penetrazione delle idee socialiste e sindacaliste all’interno delle associazioni mutualistiche, che continuarono quindi a occuparsi dei propri compiti di assistenza, o a pur meritorie iniziative di educazione popolare, senza maturare un punto di vista politico e sociale più ampio. D’altra parte, lo stesso movimento socialista si sviluppò e si diffuse, a partire dall’ultimo decennio del secolo, in una dimensione di lotta esclusivamente ideologica (perlopiù di carattere umanistico-solidaristico) e politico-elettorale, dimostrando un’attenzione scarsissima, si può dire quasi nulla, ai fenomeni emergenti nei luoghi di lavoro. I primi organizzatori socialisti, attivi ad Aosta, erano perlopiù artigiani, piccoli esercenti commerciali, intellettuali, studenti universitari che si erano avvicinati al movimento frequentando l’ateneo torinese. Alcuni di loro erano personaggi tutt’altro che marginali nella società locale, come Antoine Thédy, titolare per un certo periodo della Birreria Zimmermann, come Joseph Bieler, proprietario dell’omonima cantina e dell’annesso Politeama, o come l’avvocato César Martinet, figlio dell’ex-sindaco del capoluogo. Altri erano artigiani ed esercenti di un certo peso, come i fratelli Perolino, proprietari della ferramenta di via de Tillier, o come Enrico Guala, che era il più grande calzolaio della città, fornitore ufficiale dello Stato. E curiosamente molti erano di fede evangelica, come Antoine Georgy, un artigiano di Villeneuve che era anche pastore valdese. Costituivano, insomma, un gruppo forse non numerosissimo ma non privo di spazi d’iniziativa, e protagonista di tutte le principali vicende politiche e elettorali dell’epoca, in un ruolo di opposizione intransigente tanto verso l’area conservatrice e clericale, quanto verso quella liberale moderata. Forte, peraltro, del fatto di essere il rappresentante dell’unico vero partito politico esistente allora sul piano nazionale, sebbene i rapporti con l’organizzazione centrale fossero per la verità alquanto precari e sottoposti a frequenti interruzioni (il Psi aveva un comitato provinciale, che avrebbe dovuto coordinare 46 ]

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