4 5 Chi ospita è ospitato Fratelli tutti la salvezza, ma solo insieme Se vi è un tratto specifico dell’uomo, questo deve essere individuato in ciò che il filosofo Jaques Derrida felicemente definisce “un invincibile desiderio di giustizia”. Non si può negare l’evidenza che mostra come questo desiderio “invincibile” sia in realtà continuamente “vinto” all’interno di un agire che trasforma la giustizia, nei migliori dei casi, in una astratta ricerca di equilibrio, e, il più delle volte, come per altro Nietzsche aveva ben compreso, in una mera volontà di rivincita, cioè in pura e semplice vendetta. Qualcosa di simile accade, così penso, per l’ospitalità, per l’agire ospitale. C’è un modo di ospitare che ha qualcosa di perverso. Si tratta di quella che definisco “ospitalità assoluta”: si ospita per il gusto e la gratificazione di ospitare; all’interno di un simile ospitare, l’ospitante è più affezionato (quasi ne gode) al valore astratto dell’ospitalità che attento alla concreta determinazione, all’unicità, dell’ospite. L’“ospitalità assoluta” si prende così cura più dell’ospitalità che dell’ospite; da questo punto di vista essa ama alla follia il gruppo, ha una vera passione per lo spirito di gruppo, mentre non ha alcuna autentica preoccupazione per l’unicità dei soggetti che ospita, poiché è del tutto paga del semplice fatto di ospitarli: più ospiti ospita più è soddisfatta, e neppure immagina che per un soggetto “finito e mortale” un’autentica attenzione verso uno debba talvolta escludere l’attenzione per l’altro. Così facendo l’“ospitalità assoluta” rischia sempre di ospitare tutti, di voler ospitare tutti, ma mai pienamente nessuno. L’“ospitalità piena”, invece, è quella che un soggetto finito e mortale, riconoscendosi tale, esercita nei confronti di un soggetto a sua volta finito e mortale; appartiene all’esercizio di questa ospitalità l’attenzione per l’unicità di ciò che si ospita, ed essa è definita non solo dal saper riconoscere il limite, ma anche dal sapersi imporre un limite (vero antidoto ad ogni perversione): questa pratica dell’ospitalità, infatti, sa che per essere piena deve rinunciare a voler essere assoluta. A questo proposito vorrei fare un riferimento alla riflessione di Emmanuel Levinas sulla “casa”, che mi sembra cogliere un punto essenziale del modo d’essere del soggetto ospitante, un modo all’interno del quale il raccogliersi in sé deve essere sempre coniugato con l’essere accolto dall’altro da sé. Ad avviso di Levinas, ciò che dimora, ciò che abita, per utilizzare un termine che preferisco, non è mai l’essere, ma sempre e solo il singolo, un singolo uomo, e questi abita come singolo, come sé, solo all’interno di un luogo in cui si trova accolto dall’altro da sé. Se, come vuole Heidegger, l’uomo esiste come uomo in quanto abita, allora egli abita, e non semplicemente esiste o sussiste, proprio perché è egli stesso abitato; si potrebbe anche dire: l’esperienza del soggetto, esperienza dell’abitare, ma anche esperienza che è essa stessa un abitare, non può mai prescindere dal fatto che il soggetto stesso, l’abitante, è a sua volta abitato da un’alterità (ecco, direbbe Levinas, il tema non-heideggeriano per eccellenza) che in alcun modo è in grado di trascurare e misurare. In estrema sintesi: l’uomo, nel suo vivere da uomo, abita, e non solo esiste, perché è a sua volta abitato, perché la sua esperienza di uomo è al tempo stesso sempre quella di un essere abitante/abitato. Marc Chagall, Doppio profilo su sfondo blu e verde, 1950 ” L’uomo, nel suo vivere da uomo, abita, e non solo esiste, perché è a sua volta abitato, perché la sua esperienza di uomo è al tempo stesso sempre quella di un essere abitante/abitato. “ I valori dell’ospitalità e dell’accoglienza hanno un testo di riferimento molto attuale: è l’enciclica “Fratelli tutti” promulgata da papa Francesco il 3 ottobre del 2020, enciclica come lui ha spiegato dedicata «alla fraternità e all’amicizia sociale». Fraternità e amicizia sociale per Francesco non sono astratte utopie. Esigono decisione e la capacità di trovare percorsi che ne assicurino la reale possibilità di attuarsi. L’importanza di questa Enciclica sta nel fatto che non suggerisce solo visioni di valori, ma incalza tutti rispetto alla messa in pratica di quei valori, suggerendo percorsi e buone prassi e aperture concrete di nuovi orizzonti. Rileggerla è un modo di mettersi in cammino. (Riccardo Bonacina) Ospitalità, con tutto il riguardo e la premura possibili Non è un caso che molte piccole popolazioni sopravvissute in zone desertiche abbiano sviluppato una generosa capacità di accoglienza nei confronti dei pellegrini di passaggio, dando così un segno esemplare del sacro dovere dell’ospitalità. Lo hanno vissuto anche le comunità monastiche medievali, come si riscontra nella Regola di San Benedetto. Benché potesse disturbare l’ordine e il silenzio dei monasteri, Benedetto esigeva che i poveri e i pellegrini fossero trattati «con tutto il riguardo e la premura possibili». L’ospitalità è un modo concreto di non privarsi di questa sfida e di questo dono che è l’incontro con l’umanità al di là del proprio gruppo. Quelle persone riconoscevano che tutti i valori che potevano coltivare dovevano essere accompagnati da questa capacità di trascendersi in un’apertura agli altri. Fare propria la fragilità degli altri La parabola del Buon Samaritano è un’icona illuminante, capace di mettere in evidenza l’opzione di fondo che abbiamo bisogno di compiere per ricostruire questo mondo che ci dà pena. Davanti a tanto dolore, a tante ferite, l’unica via di uscita è essere come il buon samaritano. Ogni altra scelta conduce o dalla parte dei briganti, oppure da quella di coloro che passano accanto senza avere compassione del dolore dell’uomo ferito lungo la strada. La parabola ci mostra con quali iniziative si può rifare una comunità a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione, ma si fanno prossimi e rialzano e riabilitano l’uomo caduto, perché il bene sia comune. Nello stesso tempo, la parabola ci mette in guardia da certi atteggiamenti di persone che guardano solo a sé stesse e non si fanno carico delle esigenze ineludibili della realtà umana. Senza fraternità non c’è libertà La fraternità non è solo il risultato di condizioni di rispetto per le libertà individuali, e nemmeno di una certa regolata equità. Benché queste siano condizioni di possibilità, non bastano perché essa ne derivi come risultato necessario. La fraternità ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza. Che cosa accade senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità, tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità e del mutuo arricchimento come valori? Succede che la libertà si restringe, risultando così piuttosto una condizione di solitudine, di pura autonomia per appartenere a qualcuno o a qualcosa, o solo per possedere e godere. Questo non esaurisce affatto la ricchezza della libertà, che è orientata soprattutto all’amore. Essere aperti alle differenze Quando il prossimo è una persona migrante si aggiungono sfide complesse. Certo, l’ideale sarebbe evitare le migrazioni non necessarie e, a tale scopo, la strada è creare nei Paesi di origine la possibilità concreta di vivere e di crescere con dignità, così che si possano trovare lì le condizioni per il proprio sviluppo integrale. Ma, finché non ci sono seri progressi in questa direzione, è nostro dovere rispettare il diritto di ogni essere umano di trovare un luogo, dove poter non solo soddisfare i suoi bisogni primari e quelli della sua famiglia, ma anche realizzarsi pienamente come persona. I nostri sforzi nei confronti delle persone migranti che arrivano si possono riassumere in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Infatti, «non si tratta di calare dall’alto programmi assistenziali, ma di fare insieme un cammino attraverso queste quattro azioni, per costruire città e Paesi che, pur conservando le rispettive identità culturali e religiose, siano aperti alle differenze e sappiano valorizzarle nel segno della fratellanza umana». Accogliere il bene delle esperienze altrui Quando si accoglie di cuore la persona diversa, le si permette di continuare ad essere sé stessa, mentre le si dà la possibilità di un nuovo sviluppo. Le varie culture, che hanno prodotto la loro ricchezza nel corso dei secoli, devono essere preservate, perché il mondo non si impoverisca. E questo senza trascurare di stimolarle a lasciar emergere da sé stesse qualcosa di nuovo nell’incontro con altre realtà. Non va ignorato il rischio di finire vittime di una sclerosi culturale. Perciò «abbiamo bisogno di comunicare, di scoprire le ricchezze di ognuno, di valorizzare ciò che ci unisce e di guardare alle differenze come possibilità di crescita nel rispetto di tutti. È necessario un dialogo paziente e fiducioso, in modo che le persone, le famiglie e le comunità possano trasmettere i valori della propria cultura e accogliere il bene proveniente dalle esperienze altrui». Ospitalità, amare e curare la propria casa Come non c’è dialogo con l’altro senza identità personale, così non c’è apertura tra popoli se non a partire dall’amore alla terra, al popolo, ai propri tratti culturali. Non mi incontro con l’altro, se non possiedo un substrato nel quale sto saldo e radicato, perché su quella base posso accogliere il dono dell’altro e offrirgli qualcosa di autentico. È possibile accogliere chi è diverso e riconoscere il suo apporto originale solo se sono saldamente attaccato al mio popolo e alla sua cultura. Ciascuno ama e cura con speciale responsabilità la propria terra e si preoccupa per il proprio Paese, così come ciascuno deve amare e curare la propria casa, perché non crolli, dato che non lo faranno i vicini. Anche il bene del mondo richiede che ognuno protegga e ami la propria terra. Viceversa, le conseguenze del disastro di un Paese si ripercuoteranno su tutto il pianeta. Ciò si fonda sul significato positivo del diritto di proprietà: custodisco e coltivo qualcosa che possiedo, in modo che possa essere un contributo al bene di tutti. Papa Francesco L’ospitalità è un modo concreto di non privarsi di questa sfida e di questo dono che è l’incontro con l’umanità al di là del proprio gruppo. ” “ Silvano Petrosino LA STANZA DEGLI OSPITI LA STANZA DEGLI OSPITI
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