Itaca n. 17

12 Meglio dare che ricevere a cura è un termine che racconta molti capitoli della vita: umana, animale, dell'ambiente, guardando il presente e il futuro. Coinvolge la scienza, la cultura, i tempi ed i modi del proprio vivere. Racconta una caratteristica umana, anche se, in qualche modo, la natura suggerisce modalità di autoconservazione. Prendersi cura significa rivolgere l’attenzione a persone che non sono del tutto autonome ed hanno bisogno di aiuto. Farlo in ambito familiare ed amicale è spontaneo e quasi naturale. La civiltà ha elaborato leggi ed indicazioni che permettono a tutti - almeno teoricamente - di non rimanere soli, soprattutto nei momenti di bisogno. Il più classico dei modi di prendersi cura è rivolto agli infanti, alle persone anziane, ma anche agli adulti che teoricamente non dovrebbero aver bisogno di nulla. Eppure, la storia umana dice che tutti hanno bisogno di presenza, sostegno, vicinanza. Il problema serio si pone quando qualcuno che dovrebbe vivere autonomamente, in realtà non riesce a gestire la propria vita con sufficiente padronanza. Gli schemi per descrivere queste persone sonno molti: per schematizzare, si può seguire la linea dell’età. Dalla nascita alla morte, riflettendo sulle circostanze che, nell’arco della vita, possono accadere. La risposta sociale è chiamata ad intervenire nei momenti del bisogno, causati da motivi fisici, psicologici, relazionali, economici, ambientali. Per non cadere nella genericità si possono affrontare gli ambiti che, nello schema classico dell’assistenza, sono affrontati. Il mondo dell’infanzia può aver bisogno di salute fisica, familiare, relazionale. Le infezioni più comuni sono state risolte dalla prevenzione e dalla medicina, benché esistano ancora neonati che hanno problemi seri di salute. Di fronte a queste esigenze può capitare L Ama Festival che la scienza alzi le mani, per il non avere strumenti di soluzione. In queste circostanze genitori appassionati “girano il mondo” per trovare soluzioni. A volte queste soluzioni non si trovano; l’unica speranza è accompagnare e rendere meno faticosa la cura. Esistono centri di accoglienza per disabili, sia motori, che mentali. L’accudimento aiuta a recuperare tutte le funzioni residue e permettere almeno una convivenza pacifica e vivibile. Ciò non avviene ovunque: la differenza tra territori è notevole: ritardi ed accelerazioni dipendono da sensibilità e luoghi. Molta strada rimane da percorrere. Le famiglie si sentono molto sole; a volte con il carico totale della persona disabile che, nel tempo, aggrava la propria condizione. In età adolescenziale i problemi sono diversi. Il/ la ragazzo/a va alla ricerca della propria identità. Diventa, per alcuni momenti, ingestibile, in quanto nemmeno i genitori, gli insegnanti, gli educatori sono in grado di leggere messaggi che l’adolescente, con il proprio linguaggio, lancia. Non si riesce a comprendere se ha problemi, se è in ricerca, se sta deviando. Tutti parlano dell’età adolescenziale, anche se in realtà nessuno parla con loro. Esperienze positive dicono che la vicinanza con l’adolescente presuppone ascolto, empatia, parità. Il mondo composto dai mille stimoli non offre vicinanza: eppure è la prima necessità per chi è alla scoperta della vita. Solo l’empatia ed il rispetto permettono l’avvicinarsi a quell’età, con il risultato di trovarsi di fronte a immaturità non patologica, ma semplicemente di crescita. L'età giovanile scorre normalmente, quando la famiglia, rimasta a fianco dell’età della crescita, ha saputo essere in ascolto del/della proprio/a figlio/a, senza giudicare, ma anche senza negare la grande missione di essere educatori. Capaci di indicare la strada, senza sconti, pur essendo sempre comprensivi e amorevoli. Nella giovane età è possibile incontrare amicizie, occasioni che portano a strade problematiche. La mancanza di prospettive, l'isolamento, incontri devianti possono avere conseguenze serie e malate. Se, nonostante gli errori, si interviene precocemente, la vita da adulti può essere salvata. Trascorrendo troppo tempo nelle difficoltà, la condizione risulta irrecuperabile. Gli adulti debbono affrontare tre grandi problemi: la dimensione affettiva, lavorativa ed infine sociale. L’adulto/a deve affrontare la vita con responsabilità. La priorità è la stabilità degli affetti: formarsi una famiglia, oppure affrontare, in solitudine, la propria esistenza. In genere la convivenza o il matrimonio offrono la soluzione. Il clima più libertario, rispetto al passato, sembra offrire molte possibilità. Eppure, la costruzione solida degli affetti esige impegno e continuità. La facilità delle relazioni accelera le scelte, ma non per questo esse sono più stabili. Scegliere il futuro stabile è un investimenDonVinicio Albanesi to. Se riuscito, rende felici, altrimenti complica la vita, che influisce anche sui futuri/probabili figli. L'altro impegno è il lavoro. Non si vive senza: immaginare di usufruire di rendite è illusione, non solo perché sono molto poco numerosi coloro che possono permetterselo, ma anche perché, senza lavoro, subentra la dimensione della nullità. Il lavoro è faticoso, ma indispensabile: non solo per vivere, ma per dare dignità alla propria esistenza. Infine, è importante avere, nella vita civile, una propria posizione: coerente, degna di essere difesa, rispettosa degli altri. Una dimensione che sembra attutita dalla libertà di esprimere le proprie opinioni, magari in modi anonimi: ciò non toglie lo spessore o la pochezza delle proprie idee e posizioni. Infine, arriva, ed è un bene, l’età della vecchiaia. Molti la temono e vorrebbero eluderla. La natura dice che chi invecchia ha più possibilità di vita. Nel mondo attuale la terza età è disprezzata e male gestita. È un errore, perché tutte le età hanno soddisfazioni e problematicità. La paura della morte può spingere a temerla fino ad arrivare a non volerla vivere. Se gestita - in tutto l’arco della vita - con dignità, generosità, rispetto, anche la terza età ha un suo significato che procura soddisfazione. Prendersi cura significa occuparsi di chi ha bisogno di sostegno e di compagnia. Sembra, dall’esterno, che occorrano grandi qualità, quasi eroiche, per occuparsi di chi ha bisogno. Non è così: sicuramente occorrono sensibilità, generosità, ma anche professionalità. Le vicende umane sono complesse: a volte le disgrazie si cumulano su storie di persone, senza colpa e senza motivo. Il rispetto delle storie di ciascuno è la prima condizione di stare accanto. Le vicende non si possono disaggregare, per appiattirle secondo schemi prestabiliti. Proprio perché sono vite possibili possono sembrare non risolvibili. Eppure, essere accanto, operare per alleggerire, accompagnare vite difficili è utile. Sempre nel rispetto delle persone, dei loro desideri e dei loro sogni. Non facendo della propria opera di aiuto una specie di trono nei confronti di sudditi, ma soltanto sorreggendo, senza secondi fini ed interessi. Anche se le soluzioni definitive non si ottengono, offrire momenti di pace di ricostruzione offre sempre sollievo. L’attenzione deve essere alta, in momenti come nel presente, quando la tendenza è ad essere e apparire performanti. Tutti siamo fragili e bisognosi di sostegno. Dalla nascita alla morte. L’umanità è chiamata a vivere nella collettività, in un aiuto reciproco che fa vivere dignitosamente. L’essere fortunati non è un merito, ma una condizione che non spetta a noi scegliere. Noi possiamo utilizzare quanto Dio e la natura ci hanno concesso. L’importante è mettersi in sicurezza. Con uno slogan si potrebbe dire sii felice e rendi felice. La Bibbia ha lasciato scritto “meglio dare che ricevere”. Giovanni Testori, Ritratto di Alain, olio su tela Giovanni Testori, ritratto di ragazzo, olio su tela Giovanni Testori, ritratto di ragazzo, olio su tela

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