Itaca n. 6 - page 8

Di Antonia Chiara Scardicchio
L
a catastrofe è la regola dell’evolu-
zione.
Quando leggo, su alcuni testi, che re-
silienza è la capacità di
resistere
alle
avversità… confesso che mi preoccupo mol-
to.
Resistenza
e
resilienza
non sono sinonimi.
Al cospetto di un’esperienza, qualsiasi, di
disordine, deviazione dal tracciato, irruzione
del caos e stravolgimento, la prima implica la
forza
del restare immutati; la seconda con-
cerne la
debolezza
dell’accettare di trasfor-
marsi. La prima implica la competenza del
non spezzarsi, vero, ma non include in sé un
cambiamento, ed un cambiamento finanche
in meglio, un potenziamento/
empowerment
,
in seguito al colpo/trauma ricevuto.
Resiliente è invece chi, passato attraverso
una deprivazione, un trauma, una situazione
di forte stress fisico e/o emotivo, sconvolge
ogni paradigma meccanicistica, ogni mate-
matica previsione, ogni equazione che con-
sidera l’uomo macchina
banale
ed effetto di
una causa, risposta ad uno stimolo: perché
non subisce l’evento restandone schiacciato,
ma lo “trasforma e trasfigura, mutandolo da
problema in opportunità: di apprendimento,
cambiamento, ristrutturazione.
Come i bimbi dell’isola di Kauai - che la
Werner
1
, precorittrice degli studi sulla resi-
lienza, seguì nel suo studio longitudinale per
trent’anni -, nati in condizioni culturali e so-
cioeconomiche deprivate e persino gravi e di
cui un terzo divenne, contro ogni previsione,
un adulto sereno e realizzato; e come i bam-
bini di cui narra
Cyrulnick
, nati in campi di
concentramento, o cresciuti nella guerre più
sanguinose, in Ruanda, Algeria, Cambogia,
Vietnam, e che, pure, non hanno
sic et sim-
pliciter
trasportato nella loro adultità il dram-
ma vissuto nell’infanzia, come fossero la so-
luzione obbligata di un’equazione, vivendo
altresì da adulti una storia che si è rivelata
rivoluzionarmente
non predestinata.
Gli studi sulla resilienza sono difatti, nati a
partire dallo studio di due cruciali costrut-
ti per la sopravvivenza: quello di
stress
e di
stressor
e, con essi, quelli legati alle strategie
di
coping
/fronteggiamento che ogni perso-
na mette in atto al cospetto di una situazio-
ne problematica e che
Lazarus
e
Folkman
2
hanno definito come un processo adattivo:
ogni creatura nel suo interagire con l’ambien-
te apprende a
to cope
/fronteggiare i cambia-
menti, per poter sopravvivere.
Oggi, coi linguaggi della complessità, è pos-
sibile riconoscere che, anzi, cambiamenti,
perturbazioni e disordini non sono un proble-
ma nel quale sarebbe meglio piuttosto non
imbattersi ma, anzi, sono ciò che garantisce
la vita stessa di un sistema, che si definisce
adattivo complesso
3
proprio nella misura in
cui è in grado di trarre dal disordine un nuovo
ordine. I sistemi viventi evolvono nella
danza
tra due opposte tensioni: la tendenza al di-
sordine – entropia - e la tendenza all’ordine
– neghentropia. E, paradossalmente, proprio
la dissipazione dell’energia e della materia di-
venta, in condizioni di caos, e dunque di non
equilibrio, fonte di ordine.
La “morte” – di uno stato precedente –
genera la “vita” – un nuovo stato della ma-
teria
-
4
.
E così anche per le storie individuali, così
come per quelle planetarie e cosmologiche,
si verifica l’evidenza per cui
“la catastrofe è la
regola dell’evoluzione”
.
5
La risposta della vita
al caos non consiste nel ristabilire/ritrovare/
perseguire l’ordine precedente, ma nel crear-
ne uno che prima non c’era:
”il caos inventa
continuamente vite incredibili”
6
.
Roba da pazzi
Poiché “il trauma è riparabile, talvolta anche
favorevolmente”, scrive Cyrulnick, ma mai
“reversibile”
7
,è possibile allora guardare alla
rottura
, generata da qualsiasi dolore/trauma/
problema come ad una perturbazione in fi-
sica quantistica: è la fluttuazione – e non la
stasi – ad
obbligare
i sistemi alla vita ed alla
creatività, intesa come autopoiesi, possibilità
di creazione di ciò che prima non c’era: dal
disordine la generatività.
E, tuttavia, benché nei sistemi viventi, uma-
ni e non, questo sia il senso stesso dell’ap-
prendimento per la vita (la trasformazione:
resilienza intesa come morfogenesi), accade
nella fenomenologia umana che ciò non av-
venga così naturalmente ma che, piuttosto,
in assenza delle adeguate condizioni am-
bientali (che divengono i “tutori della resilien-
za”
8
) si attivino invece particolari meccanismi
di conservazione, tesi alla rigidità, che cerca-
no di proteggere il sistema dal cambiamento
cercandone l’invulnerabilità ma, proprio per
questo, perseguendo una vulnerabilità più
esasperata.
È quello che accade coi meccanismi di dife-
sa, tutti con un denominatore comune: nega-
re/mistificare la realtà. Ove dunque, talvolta
resistere coincide con quel pericoloso “va
tutto bene, non è successo niente”
9
che, in-
vero, anziché essere indice di forza tradisce
una debolezza più imponente e vera.
La resilienza, allora, non coincide con la re-
sistenza: poiché si può
resistere
negando la
verità, mistificando la realtà, ridimensionan-
do ciò che è irrazionale e intelligibile, trasfor-
mando, talvolta, persino la resistenza in una
forma di resa.
La resilienza invece, implica non
solo che alla realtà si “resista” ma
che, anzi, essa sia “cavalcata”:
to surf
è difatti, l’espressione anglosassone
che viene utilizzata in relazione al
management del caos.
“Cavalcare”, surfare e non arginare la pertur-
bazione.
Una risposta sfacciata, insomma.
La competenza di don Chisciotte.
Quale?
La visione.
Visione da febbre non irrazionale o fuga dal
reale. Visione come punto più elevato della
nostra ragione.
E così la resilienza mi appare come versione
laica, scientificamente fondata, della resur-
rezione. Perché quest’ultima, proprio come
quella, implica come
necessario
il travaglio
della morte. Implica l’obbligato faccia a faccia
con i frantumi, la perdita totale di equilibrio e
centro e fermezze, il chiamare per nome an-
che l’innominabile. Non è spavalderia ma una
particolare forma di resa: una resa sacra che
coincide con l’evoluzione, non soltanto con
la sopravvivenza. Ci sono forme di debolezza
– come quella chisciottesca – che non sono
incompetenze
.
Eh sì, roba da pazzi.
Ed allora non ci resta che riconoscere che il
Reale ha bisogno dell’Immaginare.
Giacché la ragione – scrive in alcune sue pa-
gine bellissime
Didi-Huberman
– è, sì, cer-
tamente competente nel vedere della realtà
il
“tutto”:
analisi precisa e ineccepibile la sua,
proprio come quella di Pasolini quando dispe-
ratamente cantò la “fine delle lucciole”
10
per
descrivere, come Acone, il tempo della fine.
Ma, invero, anche qualcos’altro, oltre la ra-
gione, ci appartiene e ci compete in quanto
creature umane, esperte non solo nelle scien-
ze del ratificare: osservare e ripensare e agi-
re…
“malgrado tutto”
11
:
“questo compito richiede al tempo stesso
coraggio – virtù politica – e poesia, che è l’ar-
te di fratturare il linguaggio, di infrangere le
apparenze.
12
” Malgrado-tutto!
Scorgere quel che la disperazione – accura-
tamente – impedisce alla ragione di vedere.
Due parole soltanto: per dire dello scacco alla
morte, al morente, finanche al
già
morto!
Malgrado-tutto.
Già, malgrado tutto, cosa resta? Quel che ec-
cede il computo delle disgrazie e dei motivi di
disperazione. Certo, non si può farlo da soli. I
giorni disperanti sono di tutti. E se non vi fos-
sero, allora sì che si dovrebbe dubitare della
ragione che mai dispera. Ma il senso peda-
gogico del progettare è nel non ristagnare in
quel disperare. E nel darsi il cambio nel can-
to, quando giunge la propria ora della lamen-
tazione. Progettare è allora verbo di speranza
– scientificamente intesa, non come vaga at-
titudine ma come spinta all’impresa – e insie-
me, verbo di comunione.
E, soprattutto: progettare è
verbo
. Ovvero:
movimento, smottamento, innamoramen-
to.
Non già definizione romantica ma asso-
lutamente… etimologica: poiché
Eros
– figlio
di
Poros
e
Penia
, ovvero: figlio di
Strada
e di
Mancanza
-
coincide col movimento verso
un punto di perdita
13
. Innamorarsi della realtà
coincide allora, insieme, col rischio e con la
creazione. Col desiderio di ingravidare, col
proprio slancio, il reale. È questo il senso
della pedagogia fertile che fonda ogni pro-
gettazione. E allora il senso pedagogico della
rivoluzione
chisciottesca forse è tutto qua:
nella scelta tra il Cogito-sul-Divano e il Co-
gito-su-Clavilegno. O anche su-Ronzinante.
Anche a costo di correre il pericolo di sem-
brare ridicoli.
A.Chiara Scardicchio. Breviario per (i) don
Chisciotte.
Per una pedagogia della rivoluzio-
ne, Mimesi, Milano, 2015
cultura
affabulazioni
Visioni ridicole e competenze sfacciate per educatori chisciottimisti
Il figlio dell’uomo, 1964 - olio su tela
1 Cfr. E. W
erner
,
Vulnerable…. cit
; Id.,
The children of Kau-
ai: resilience and ricovery in adolescence and adulthood
,
Journal of adolesent health, n. 4/1992, pp. 262-268.
2 Cfr. R.S. L
azarus
, S. F
olkman
,
Stress, appraisal, and
coping
, Springer, New York, 1984
3 Cfr. G. B
occhi
, M. C
eruti
,
La sfida cit.
, Bruno Mon-
dadori, Milano, 1985; A. F. D
e
T
oni
, L. C
omello
,
Viaggio
nella complessità,
Marsilio, Torino, 2007;, M. C
eruti
,
Il
vincolo e la possibilità,
Feltrinelli, Milano
,
1986
4 I. P
rigogine
,
L’esplorazione della complessità
, in G.
B
occhi
, M. C
eruti
,
La sfida cit.;
Id.,
Elogio dell’instabilità
,
in P. A
lfieri
, A. P
ilati
,
Conoscenza e complessità
, Theo-
ria, Roma, 1990, Id.,
Le leggi cit.
, Laterza, Roma-Bari,
1993; Id.,
La fine delle certezze. Il tempo, il caos e le leg-
gi della natura
, Bollati Boringhieri, Torino, 1997; I. P
rigo
-
gine
, I. S
tengers
,
La nuova alleanza. Metamorfosi della
scienza
, Einaudi, Torino, 1981; E. Laszlo,
L’evoluzione
della complessità e l’ordine mondiale contemporaneo
,
in G. B
occhi
, M C
eruti
.,
La sfida cit.
5 B. C
yrulnick
,
Autobiografia cit.,
p. 27
6 I
bid
., p. 29
7 I
bid
., p. 122
8 Cfr. B. C
yrulnik
,
Autobiografia
.. .
cit.;
Id.,
I brutti.
..
cit.
9 Dunque è questo il tipo di “resistenza” a cui qui ci
si riferisce, contrapponendola alla resilienza: ovvero a
quella forma di congelamento e alessitimia che cerca
di resistere al vento scompigliatore irrigidendosi e non
cedendo alla
danza
in senso batesoniano, accogliendo
la perturbazione dell’incontro/scontro con l’imprevisto e
lo sconvolgente. Diversa è, invece, la postura teoretica
e prassica della “resistenza” alla quale Contini ha de-
dicato il suo elogio in un saggio relativo al coraggio ed
alla coscienza . Cfr. M. G. C
ontini
,
Elogio dello
scarto
e
della resistenza. Pensieri ed emozioni di filosofia dell’ed-
ucazione
, CLUEB, Bologna 2009.
10 Cfr. P.P. P
asolini
,
Il vuoto del potere in Italia
, in Id.,
Scritti Corsari
, Garzanti, Milano 2000, pp.128-134
11 G. D
idi
-H
uberman
,
Come le lucciole.Una politica delle
sopravvivenze
, Bollati Boringhieri, Torino 2009, p. 28
12 G. A
gamben
,
Signatura rerum. Sul metodo
, Bollati
Boringhieri, Torino 2008, pp. 10-15, cit. in G. D
idi
-H
u
-
berman
, ivi, p. 43
13 U. G
alimberti
,
Eros e psiche
, Albo Versorio, Milano
2012, p.33.
8
1,2,3,4,5,6,7 9,10,11,12,13,14,15,16,17,18,...24
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